recensioni dischi
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DEPECHE MODE  "Some great reward"
   (1984 )

Insomma, il problema era soprattutto visuale. I loro video sembrano accozzaglie incomprensibili al popolo che impazziva davanti agli Wham! e ai Duran, e d’altra parte usare una nave come strumento musicale come in “People are people” non poteva farli diventare eroi da fotoromanzo. A maggior ragione quando la loro musica diventava sempre più ambiziosa, con Alan Wilder ad oscurare quel poco di sole che poteva essere rimasto dai tempi delle musiche facili. L’elettronica pompava di brutto, a partire da quella “Master and servant” diventata poi uno dei primi loro classici da coro negli stadi, per volare su “Lie to me” e planare, come un aereo che si sfascia al suolo, sulla gelida “Blasphemous rumors”. Qui il suono retrostante, quasi di piatti che lentamente si distruggono, fanno da scarno sfondo musicale ad una disperata richiesta di perché sulle sciagure esistenziali, roba che sarebbe stata meglio forse sulla bocca del Robert Smith dell’epoca, che non a chi era ancora, inesorabilmente, considerato come una band di ragazzini sfigati e incapaci di diventare oggetto di poster e masturbazioni femminili. Curiosamente, la canzone divise il pubblico, che allo stesso momento la considerò sia un atto di ateismo che una profonda riflessione sulla fede. Martin Gore ci stava prendendo gusto, con testi di questo genere, ma ancora non lo capivano più di tanto: vendeva, mentre Dave Gahan iniziava a goder – pure troppo – dei vizi da star e tante nazioni li avevano elevati a re del mondo. Ma i puristi del rock proprio non capivano come si potesse rinunciare a qualsiasi cosa che non fosse una tastiera. (Enrico Faggiano)