DEPECHE MODE "Speak and spell"
(1981 )
La più classica delle storie che poteva svilupparsi nei primi anni ’80, quando esplose la moda delle tastiere, e bastavano due sintetizzatori per avere un mondo davanti che si poteva spalancare. Senza magari aver mai preso in mano una chitarra, o – orrore! – una batteria. Il genietto della situazione, uno di quelli che magari oggi si interesserebbe ad hackerare siti porno piuttosto che comporre melodie, trovò facilmente nei club londinesi ove già si divertivano tante e tante futurpopstar (Steve Strange, Boy George, Durani e Spandaui vari) i compagni di viaggio. Chiamiamoci Depeche Mode, disse quindi Vince Clarke, unendosi ad un riccioluto Martin Gore, al suo amicone Andy Fletcher e ad un cantante già squilibrato, ma con il faccino da chierichetto, nomato Dave Gahan. Il tempo di programmare la tastiera, e c’era già il lavoro pronto. Opera prima di questo complessino, “Speak and spell” sembra oggi datato a dir poco, a prescindere da cosa sarebbero diventati i DM: due o tre tiritere tastieristiche, roba che forse oggi intimidirebbe anche di fronte alle suonerie polifoniche di qualsiasi cellulare. Venne trovata quasi subito la hit sfondaclassifiche, “Just can’t get enough”, attorno ad altre musichette facili facili (“New life”, o “What’s your name” per intenderci). Certo, c’erano anche cosettine un po’ più cupe – citofonare “No disco” o “Tora Tora Tora” per informazioni – ma nulla che facesse pensare al mondo britannico che dietro questi quattro ragazzini, totalmente avulsi dal concetto di look (niente fard, ognuno vestito letteralmente come capitava, con tanto di golfini usciti dalla pubblicità del Coccolino), non ci fosse altro che una blanda boyband senza spessore. Non vennero presi tanto in considerazione, e quando il capoccione di Vince Clarke lasciò la balotta, i Depeche Mode vennero già dati per defunti, con tanto di rimpianti per i vecchi posti di lavoro lasciati per inseguire un sintetizzatore. Come sapete, non andò così. (Enrico Faggiano)