ALCIAN BLUE "Alcian blue"
(2006 )
La prima premessa è che "Alcian blue" è l'album omonimo di una band americana che, all'atto di pubblicazione del disco d'esordio, decide di lasciare tutto, donandoci unicamente dieci tracce da raccontare. La seconda premessa è che "Alcian blue" è uno dei migliori dischi ascoltati negli ultimi anni. Adesso, se uniamo le prime due proposizioni, non ci rimarrebbe altro che riconoscere un po' di delusione; in realtà la loro scelta è quanto di più logico e naturale, se considerato il sound inciso in questo disco. Vediamo il perché. Perché "Alcian blue" è un album anacronistico, è un album nato solo per errore in questi giorni, avendo dovuto trovare piena libertà espressiva nell'anno del Signore 1980, quando il migliore dark sound viveva il suo massimo splendore. Nel corso degli anni ci siamo un pochino esaltati di fronte a band che, anche minimamente, producevano musica un briciolo accostabile al sopraccitato dark sound anni '80. Quelli, tuttavia, erano solo vaghi ricordi; si, insomma, erano bravi, ma non era proprio la stessa cosa. Questo degli Alcian Blue, invece, è proprio quella roba là: un disco ed un gruppo catapultati, malinconicamente, in un'epoca storica estranea. Ecco, allora, che il loro scioglimento rappresenta un atto dovuto, tanto da riportare al naturale ordine delle cose (o, meglio, del tempo). L'immagine di presentazione è già accattivante; su uno sfondo blu scuro (un paesaggio lunare?) si legge il nome del gruppo. è tutto estremamente semplice, ma al tempo stesso accattivante. Con l'apripista questi Alcian Blue ci dimostrano che l'album che stiamo per ascoltare, uscito per l'etichetta Elephant Stone, fa davvero sul serio. Un tappeto imponente di tastiere anticipa la cavernosa voce del vocalist Jake Reid e mentre apprezziamo "Horizons", brano carico di magia ed oscurità, abbiamo gioco facile nel trovarne il sound ispiratore. È chiaramente "Cold" dei Cure ("Pornography" 1982"): ok, se i vostri esempi sono questi, ci avete servito il migliore aperitivo possibile. "71705" ci porta ad un sound con più ritmo che richiama le composizioni degli australiani Ikon, un'altra grande band che ha saputo con successo riproporre le atmosfere dei Joy Division. "Night sky" e "Frozen sleep" (ancora più enfatica) sono un dolce post rock e "Caroline" con le sue chitarre acustiche in evidenza ci lascia un dignitoso rock lento e malinconico (Low?). "You just disappear" e "This day this age" tengono alto il livello dell'album; la prima presenta un intro di chitarra che ci porta alla mente alcune performances dei Banshees di Siouxsie Sioux, mentre la seconda è un chiaro omaggio ai già citati Joy Division di Ian Curtis. Sul finale troviamo ancora "Turn away" (un po' deboluccia, francamente), "See you shine" (narcotica) e "Terminal escape" (gothic dance). Tuttavia, va ammesso che questi già scomparsi Alcian Blue ci lasciano dieci splendidi brani da ascoltare (magari sdraiati sul letto) senza, comunque, risultare innovativi. Interpretano (al meglio) un periodo musicale ridonandogli una certa attualità, anche se nulla di quello ascoltato in "Alcian blue" rappresenta la "nuova scena del momento" od un nuovo genere da considerare quale esempio per band future; il loro è semplicemente un ottimo esercizio di stile. Esercizio di stile che, in ogni caso, ha fatto assai bene a queste orecchie, troppo spesso tormentate dalla stragrande quantità di spazzatura prodotta dal music business. Così, nel silenzio del loro album d'esordio, salutiamo gli Alcian Blue, augurandogli, in un immaginario viaggio del tempo, un buon ritorno. Destinazione 1980, o giù di lì. Chissà, forse da quelle parti potranno trovare quello che cercano, forse da quelle parti potranno trovare quel briciolo di gloria che oggi non hanno saputo cogliere. (Gianmario Mattacheo)