recensioni dischi
   torna all'elenco


JOE STRUMMER & THE MESCALEROS  "Streetcore"
   (2003 )

‘Streetcore’ non è affatto un disco straordinario. Straordinaria, quella sì, è l’intempestività del destino, che prima di ‘Streetcore’ calò il suo sipario sulla vita e sulla carriera di Joe Strummer, beffardamente. Ce ne aveva messo di tempo, il vecchio sandinista Joe, per partorire materiale decente dopo l’epopea Clash; dopo tutta l’energia ribelle che lo aveva portato, con l’indimenticabile immagine della chitarra in procinto di essere spaccata, ad imprimere il suo nome, e quello di ‘London Calling’, nella storia della musica. Lo “strimpellatore”, chiusa l’epoca del punk rock di cui i Clash stessi segnarono, paradossalmente, l’inizio del declino, aveva avuto dall’85 in poi una carriera realmente trascurabile. La vera rinascita è del 2001, con la band di polistrumentisti messa in piedi due anni prima: “Joe Strummer & The Mescaleros”, con ‘Global A Go-Go’, avevano ridato vita ad un nuovo entusiasmo. “Roba viscerale, fluida, suonata senza troppe masturbazioni”, ne disse Strummer. Un bel lavoro, finalmente. Ma, ecco, qui entra in causa la straordinaria intempestività del destino di cui si diceva. Non ci sarebbe stato tempo per proseguire la rinascita, nella vita di Joe Graham Mellor. Il 22 dicembre 2002, nella sua casa del Somerset, un infarto lo porta via, nemmeno 50enne. All’inizio dell’anno successivo, le ultime registrazioni, già parzialmente assemblate, confluiscono in “Streetcore”. Dieci canzoni, aperte dalla carica sottilmente banale ma contagiosa di “Coma Girl”, che prelude ad un disco pieno, ricolmo di vitalità: non della vita dell’ex Clash, ma del ritmo e della inimitabile voce stridula, del rocksteady e del reggae. L’idea, forse condizionata dagli eventi, è che Joe fosse pronto ad esserci, di nuovo, con la chitarra che graffia, e l’ugola che fa il resto, e gli occhi che sembrano guardare avanti, anche passando da due grandissime cover del passato come “Redemption song” di Bob Marley (da ascoltare assolutamente) e “Silver and Gold”. La forzatamente testamentaria "Long Shadow" è la canzone che, pur introdotta come terza traccia, idealmente chiude il cerchio di un disco frammentario ma necessario, oltre che straordinariamente 'bittersweet', per forza di cose. “Se hai messo tutto insieme, senza cedere neppure una volta alla compassione, lanci una lunga ombra, e questo è il tuo testamento. Da qualche parte nella mia anima c'è sempre il rock'n'roll”. Joe Strummer, 2001: “Ai giovani di oggi vorrei dire sostanzialmente, che li odio! Ovviamente scherzo, ma penso che stiano perdendo quella rabbia che mi ha portato a fare rock, punk-rock in passato, che ancora adesso mi fa mettere in piedi una band per registrare canzoni. Non so cosa comunicare alle nuove generazioni, davvero. Sono troppo distanti”. Già. (Luca Marozzi)