FRANCO BATTIATO "Gommalacca"
(1998 )
Si deve riconoscere, al fan medio di Battiato, la grande capacità di seguire il proprio idolo senza bisogno di Xamamina, perché ad ogni disco il Nostro riusciva a fare delle sterzate musicali tali da essere impossibili da gestire ad orecchio non allenato.
Si era alzato dal tappeto e dalle meditazioni arabesche per una “Imboscata” che stava indicando una nuova via, poi arrivò “Gommalacca” e l’impossibile fu possibile: si poteva andare ad un suo concerto e pogare.
Disco duro, acido, con chitarre che a tratti sembravano uscite dai Prozac+, e una furba vampirizzazione di sangue fresco (Andrea Pezzi, all’epoca seguitissimo volto di MTV) per rendere facile la promozione anche tra mocciosi magari ancora in incubazione ai tempi dei bianchi cinghiali.
Sgalambro al massimo dei giri, con le sue liriche sempre adombrate di nostalgia per i tempi antichi, e arrangiamenti che a momenti avrebbero fatto la loro figura ad un “Gods of metal”.
Come aveva scritto anni prima, “più si invecchia più affiorano ricordi lontanissimi”: ringiovanito, camicia fuori dai pantaloni e bulbo sconvolto, da mullah barboso si era trasformato in zio pazzo, assolutamente irresistibile.
Da “Shock in my town”, roba da far fondere le casse dello stereo, al finale techno (!) di “Shackleton”: Sgalambro poteva sussurrare il suo “sentinella, che vedi?” e Francuzzo poteva rispondere con “il disco più squassante degli ultimi anni”, felice di aver centrifugato ben bene il suo pubblico.
Roba fisica, mai sentita prima: trovò anche spazio come stra-ospite a Sanremo (dove era apparso solo come autore, con buone fortune di Alice e meno della trashissima Sibilla, quella di “Oppio”) e diventò difficile, dopo di lui, presentare gli altri festivalieri. Giovani già vecchi, che non avevano nemmeno un millesimo della sua genialità. (Enrico Faggiano)