recensioni dischi
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MIGRAINE  "Un'abitudine"
   (2025 )

Sono molteplici le curiosità che mi prendono al momento di approcciarmi ad un album. Ma, francamente, devo confessarvi che la prima che mi assale è quella di immaginarmi l’origine del nome di una band.

Nello specifico caso del power-trio brindisino dei Migraine, lo traduco come “emicrania”, e allora, forse, ascolterò musica tosta che mi formerà un cerchio alla testa? Per fortuna, nessun disturbo si manifesta nell’ascolto del secondo album “Un’abitudine”, che arriva a tre anni dal debutto eponimo, e non è certo… un’abitudine cibarsi di un simile alt-stoner-grunge rock se fatto con passione ed intenti sinceri.

Rivelando che l’intestazione del gruppo prende ispirazione da un telo che usano nei loro live, raffigurante il disegno di un cervello tenuto stretto da due mani, il percorso dei 10 atti dell’opera sviscera notevoli tappe incendiarie, con la tendenza ad urlare verso una “Era” vacua ed insoddisfacente, intanto che si fa una tiratina di “Marlboro” blues cavernoso, con la quale si fanno opportune “Indagini” sulla vita odierna, carica di insormontabili fatiche e stritolamenti d’anima.

Esplosiva con criterio e feroce alla bisogna, la voce del singer Vinnie Brown ben rappresenta la bile che schiuma compatta in itinere. Poi, se balla “Linda”, sono affari seri ma gioiosi, goduti in un grunge’n’roll ineffabile, per risollevarci con una posologia di “Gocce” per un’improbabile felicità che ci viene scippata regolarmente dalla società odierna e dalla nostra mente, che stenta a credere nella sua esistenza.

Muovendo pedine sullo scacchiere di Queens of the Stone Age, Soundgarden, Nirvana e Velvet Revolver, il collettivo pugliese ha fornito una prova più che convincente, con fermenti scritturali che, seppur adescati in parte dal passato, li han rivestiti con dettagli identitari, in “Un’abitudine” che non sa mai di routine noiosa e prevedibile. (Max Casali)