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COSMIC CAPPUCCINO  "Flight plan for paper planes"
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Le premesse sono allettanti: il nome della band – Cosmic Cappuccino – e il titolo scelto – “Flight Plan For Paper Planes” - suonano arguti, simili a scherzose boutade, forieri di chissà quali sorprese.

Originari di Perugia, Laura Tirelli, Matteo Silvestri, Mattia Seppolini e Simone Sirchio sono al debutto autoprodotto con sette tracce pungenti e spiazzanti, aspre talvolta, ondivaghe ed inafferrabili; la loro è una proposta insolita ed intrigante, infida e cangiante, ricca di contrasti e di inattese evoluzioni, una terra di confine che nasconde – e lentamente svela - creatività, estro, singolarità.

Passione dichiarata, faro, nume tutelare ed influenza più che scoperta: il post-rock di seconda generazione, e va bene. Ma è il modo personale di mischiare le carte ciò che rende apprezzabile questo disco nella sua stessa concezione, una peculiare manipolazione del verbo in fogge inusuali. Ad esempio: mancano i canonici movimenti in graduale crescendo.

E poi: la voce, quando c’è, gioca un ruolo non secondario, non limitandosi al compitino. O ancora: il mood non indulge a stasi riflessiva o intima introversione. In generale: la scrittura è varia, contamina sì ben volentieri, ma senza schierarsi palesemente, concedendosi opportunità, lasciando aperte porte e soluzioni mentre lambisce territori limitrofi con apparente nonchalance.

Aperto lo scrigno, si entra al cospetto di un mondo inesplorato, pervaso da una musica che confonde e ammalia, arricchita da un prezioso lavoro su sonorità e arrangiamenti: l’insieme è fascinoso ed imprevedibile, il sound scolpito e consistente, a tratti più rotondo e levigato, ma mai privo delle molte asperità che una forma articolata e guizzi indocili gli riservano in sorte.

Nonostante gli indizi sparsi ad arte nell’opener “A Light To Attract Attention”, puro post-rock estatico nobilitato da vocalizzi soavi e piccoli eterei contrappunti, a prevalere sono brani sostenuti ed incalzanti, quasi il reale focus della band risiedesse altrove rispetto agli intenti dichiarati.

“Starshower” è un ruvido ingorgo elettrico, trafitto da un canto a doppia voce che richiama trame dream-pop; lo strumentale “Lamb of Tonic” risolve il brusco abbrivio in un rallentamento sospeso e soffocante; “Violentina”, squassata dal rimbombare feroce del basso, plana non distante da una palude di echi stoner à la Kyuss.

In tutto l’album, rimandi e riferimenti inevitabilmente crollano, inghiottiti da movenze che oscillano sibilline tra l’incipit sornione di “Oxygen Will Be Flowing” - curioso ibrido tra Cure e For Carnation che deraglia in un fosco, fragoroso turbinio – e la cadenza satura di “Grandma Loves Punk Music”, scossa da rimembranze (affatto velate) dei My Bloody Valentine di “Isn’t Anything”.

In coda, “Rainy Pasquetta”, epilogo intenso e scalpitante, summa di intrecci armoniosi e stilettate assortite, chiude in bilico su un filo sottile questi trentuno minuti di bruciante dinamismo, suggello di un disco solido e corposo, espressione compiuta di una band ispirata e promettente. (Manuel Maverna)