THE WHITE ALBUM "Borders"
(2025 )
Per carità, intendiamoci: niente di epocale, unico, irripetibile, nessuna next-big-thing e bando al sensazionalismo, però questi signori il mestiere lo padroneggiano eccome.
Frederik Vedersø, Claus Arvad e Jakob Eilsø sono The White Album, trio danese baciato da luminosa gloria, non solo in patria: nati circa tre lustri orsono, propongono in “Borders”, quarto album lungo di una carriera in costante ascesa, un alt-folk dai caratteri moderni, scintillante e devoto a svariati modelli, nessuno dei quali vetusto o stantio, anzi: brani tradizionali, squadrati, mossi quanto basta, intrisi di influenze mai invadenti, canzoni semplici e misurate forti di una produzione equilibrata, eleganti ed arrangiate con gusto, stile, moderazione e gran garbo.
Sono pezzi allettanti, sostenuti da una bella ossatura ritmica, ma anche tenui e confidenziali; in punta di chitarra e voce carezzevole, o sospinti da una verve frizzante che li rende gradevolmente incalzanti, non perdono mai la direzione né il focus sul progetto. Sono composizioni solide, lucide e interessanti, sporadicamente condite da timide – ma provvide – escursioni in territori appena più impervi: è il caso dell’opener “Switzerland”, cinque minuti di rollercoaster emozionale che caracollano esitanti, crescono per gradi, rilasciano tensione e si riaccomodano su una coda pacifica, senza smarrire l’intima intensità che li caratterizza. Ma il trio gira a meraviglia anche nei frequenti episodi che richiamano quel bel rock da FM, conciliante e levigato, tanto gradito oltreoceano: dalla robusta cadenza di “Malibu” agli echi Vampire Weekend di “The Corridors”, dal passo laid-back di “Just For Us”, tra War On Drugs e Richmond Fontaine, fino alla squisita morbidezza d’antan à la Fleetwood Mac di “Lighthouse”, l’album è un florilegio di melodie centrate, ganci efficaci, chorus incisivi.
Chiude “The OLED Sun”, aria raccolta, armoniosa e soave che sa di Justin Vernon e Sam Beam, dolce e mesta nella sua spoglia, esile essenzialità, ideale suggello ad un lavoro encomiabile per pulizia del suono e chiarezza d’intenti, saggio di umile maestria di una band consapevole del proprio percorso, matura e calibrata, decisamente intrigante. (Manuel Maverna)