recensioni dischi
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AB29  "Magnitudo"
   (2025 )

Strana creatura, questa band.

E strano album, “Magnitudo”, ammaliante esordio lungo per Beng! Dischi delle AB29, quartetto femminile della provincia di Pisa.

Spazia in varie direzioni, lasciando aperte porte, concedendosi possibilità, rifugiandosi sovente in una comfort zone che riserva opzioni mai del tutto prevedibili.

È melodioso, mediamente triste, ma di una tristezza non distruttiva: melanconico, piuttosto, agitato da un’indole sottilmente nostalgica che si insinua, amica e compagna, fra trame morbide e concilianti, teneramente depresse, sviluppate immancabilmente in tonalità minori.

In canzoni garbate, mai aggressive, vanno in scena con sorprendente nonchalance idee vivide e sentimenti viscerali, ganci allettanti e chorus efficaci offerti con la naturalezza naif che contraddistingue una scrittura giovane e disincantata, spavalda sì, ma priva di forzature inessenziali. Sono brani puliti e suoni puliti, visi puliti e versi puliti, lontani anni luce da volgarità a basso prezzo, eccessi di maniera, banalità da baraccone.

Pezzi concisi e diretti, lineari ma non troppo, piccoli saggi di una mite introversione declinata in ventotto minuti che vorresti abbracciare, consolare, rincuorare come fossero persone in carne ed ossa: sì, perché oltre i ganci e i chorus l’atout è rappresentato dai testi, incisivi nel loro ermetismo composto, memori di suggestioni, emozioni, brividi sparsi e nitide rimembranze, di speranze tangibili e desideri frustrati, paure assortite e soluzioni sempre da trovare, piccole grandi ansie quotidiane, ordinario vivere comune.

Apre la title-track, sospesa e diafana, a metà strada tra le Warpaint e i Verdena più accomodanti, canto rado ed atmosfere dilatate, chitarra sottotraccia e basso nello stomaco su un tappeto di musica sfuggente: esita, rallenta, non riparte, caracollando fino ad una finta deflagrazione, lasciata ad ondeggiare su un testo minimalista, poche parole ripetute come in un mantra. Ma è un dolce inganno: il mood trasognato e indolente dell’opener si dissolve nel battito pulsante di “Domenica”, arricchita da un refrain memorabile, nell’invocazione afflitta ed accorata di “Carta carbone” e – in generale – nelle spire avvolgenti di un emocore apparente, tale nell’anima, non nelle sonorità.

Scorrono, lievi e pungenti, le tessiture armoniose di “Ldcb”, tra Carmen Consoli e Giorgieness, il bozzetto appassionato di “4+3”, l’intreccio cangiante à la Üstmamò di “7 Minuti (Senza Stelle)”, preludio al commiato gentile ed afflitto, toccante e intimo, di “Prima di Andare a Dormire”, messaggio in bottiglia a chi è passato e a chi ancora non c’è, a chi resta e a chi va, dedica anonima a tutti, a nessuno, a qualcuno in particolare, che forse non lo saprà mai.

Non importa se questa canzone ti arriverà/non sapevo il tuo nuovo indirizzo/io ti aspetto a casa. (Manuel Maverna)