MICHELE GAZICH "Solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea"
(2025 )
Nove canzoni raccolte in quindici anni. Quando le idee decantano così a lungo, significa che sono state meditate tantissimo, in ogni singola parola, suono e significato. Uscito per Moonlight Records e FonoBisanzio, “solo i miracoli hanno un senso stanotte in questa trincea” di Michele Gazich va scritto esclusivamente con le minuscole, così come i titoli delle canzoni, per volontà dell'autore. La sua scelta è in contrapposizione a un mondo in cui troppi “si danno la maiuscola”, urlano, fanno più rumore possibile.
La musica di Gazich nasce dal silenzio, come quello del brano strumentale al centro del disco, “materiali sonori per una descrizione dell'anima di paolo f.”, dedicato a un amico scomparso cinque anni fa. Come in questo brano, gli archi sono una presenza costante negli arrangiamenti. Conosciamo la sua voce profonda col brano d'apertura “perché goethe è partito per l'oriente”, e la voce di Giovanna Formulari in “sanguedolce”, chiaramente dedicata a Giovanna D'Arco: “Io sono Giovanna. Il mio nome è il mio rogo. Ecco il mio corpo, grazia e rimorso, in ogni sguardo partenza e ritorno. In ogni carezza un vessillo che brucia”.
Accanto a violino, viola e violoncello, c'è un pianoforte, e qualche volta la melodica. La musica trae spunto dal classicismo viennese e dal primo romanticismo, infatti il primo brano su Goethe cita il primo lied del ciclo “Winterreise” di Franz Schubert, mentre “La resa” ospita un tema di Mozart, il Concerto per Pianoforte e orchestra K488.
Ci sono anche suggestioni pittoriche, come quella di “alice nel paese di chagall”, dove la bambina di Carroll viaggia nei paesaggi onirici di Marc Chagall: “Il mare nel giardino, un leone a testa in giù, l'abbraccio, l'angelo bianco siede in cielo (…) Alice dorme, in lei respira la natura. Alice in sogno vede il violinista verde, sopra i tetti della città che vola. Cremisi scarlatto palpebre petali di rosa, e il mondo intorno alla mandorla di luce”.
Una campana tibetana apre e chiude “la torre di holderlin”, che ricorda la decisione del poeta Friedrich Hölderlin di rinchiudersi in una torre per sfuggire alla violenza del mondo. E da quella posizione la visione è serena: “È il mattino del vivere, nella torre il pensiero è fresco e sottile. Vista dalla torre è miracolo ogni stagione”.
Confrontandosi con la malattia, Ludwig Van Beethoven scrisse una lettera disperata che non spedì mai. Queste parole sono lo spunto per “heiligenstadt”, dove scopriamo che Gazich oltre a cantare sospirando sa anche urlare, con trasporto d'attore. La titletrack è il brano che chiude la scaletta, un elegante valzer dove compare il Coro dei Puri di Cuore, a suggellare le forti emozioni di un disco dove entrano in gioco i massimi sistemi, mentre “il celeste carpentiere inchioda, inchioda altra vita”. Da ascoltare di sera senza parlare... o almeno parlando solo con le minuscole. (Gilberto Ongaro)