LUCA & THE TAUTOLOGISTS "Poetry in the mean-time"
(2025 )
E’ una palette di tinte soffuse, tenui e mirabilmente distribuite su una tela incantevole, a definire il mood delle undici tracce raccolte in “Poetry in the mean-time”, secondo capitolo lungo per la sigla Luca & The Tautologists, a breve distanza dall’ep “Suddenly Last Summer” e a poco più di un anno da “Paris Airport ‘77”, lavoro solido e centrato in cui Luca Andrea Crippa, chitarrista e songwriter sontuoso, mestierante di lungo corso, metteva a frutto lustri di onorata militanza in un ben custodito sottobosco di Americana in purezza.
Affiancato in questa nuova release del progetto da Paolo Roscio al basso e Deneb Bucella alla batteria, Luca cesella nel consueto stile elegante e composto quarantacinque minuti impregnati delle più disparate influenze, rifinendo con classe un milieu intriso di echi jazz, venature blues, sfumature country, un compendio di ascendenze ben individuabili, ma rilette ed interpretate con piglio personale ed intrigante creatività.
Concept sui generis, incentrato su una primigenia idea astratta di poesia, linfa vitale in contesti e circostanze apparentemente avulsi dal bello, l’album introduce e veicola il leitmotiv muovendo dall’immagine di copertina, riproduzione stilizzata di un vecchio scatto fotografico in bianco e nero di Julie Adams sul set de “Il mostro della laguna nera”: da lì, sviluppa la sua trama avvolgendola tra le spire di “Tall Buildings Shapes”, opener morbida ma pulsante, accoccolata tra le pieghe confortevoli di un levigato e peculiare jazz-rock à la Steely Dan, arricchito e sottolineato da testi accurati e fantasiosi, atout mai secondario ad affiancare una musicalità sfaccettata e variegata.
Il trittico iniziale, completato dal passo rapido e incalzante di “Julie Hit Her Head”, con inflessioni floydiane nell’inciso e maestosa bassline, e dal più lineare folk bucolico di “Breakwaters Ballroom”, classico 4/4 da FM d’oltreoceano con chorus accattivante e bella armonia ad impreziosire, detta tempi e modi dello show, equamente ripartito tra episodi più mossi (lo strumentale “Modern Galleries”, l’aria southern di “Your Own Way”) e tessiture confidenziali, riflessive, intime (il suggestivo ritratto di amore filiale di “Soon Was A Distant Yesterday”).
Si tratti del boogie al rallentatore di “My Friend’s Old Blues Still Rocks”, delle placide, soavi atmosfere di “Our Magic Wand”, della docile inflessione seventies di “Costa Brava (four parts suite)” o della luminosa ballata di “According To Woody Guthrie” in chiusura, a prevalere è un generale clima laid-back, carezzevole e mite, ideale corollario ad una narrazione che è uno spaccato di vita vissuta, un racconto disincantato sinonimo di fiducia nel futuro, di buone speranze ed occasioni da cogliere, di possibilità in cui credere.
Non è poco, di questi tempi. (Manuel Maverna)