MASSIMO DURONIO "Opera prima"
(2025 )
La musica classica nei suoi grandi capolavori, soprattutto quelli più conosciuti (che, assicuro, sono solamente una infinitesima parte del patrimonio non solamente definito musicale ma Culturale del pianeta), troppo spesso viene ritenuta un genere d’elite.
E soprattutto al giorno d’oggi, la grande sfida nel far conoscere a livello globale questo grande, immenso patrimonio risulta quanto mai arduo.
La musica classica non parla di sé, o almeno, non solamente di sé. Parla di noi tutti, delle società dei tempi, parla di storia, di geografia, di politica, e ne parla attraverso ogni musicista e compositore del suo tempo, del tempo in cui ha vissuto. Vi sono poi casi in cui qualche grande firma musicale è stata all’avanguardia, e i cui spartiti possano considerarsi al di là di ogni tempo e luogo.
Ritornando alla grande sfida, ebbene è molto ardua, e spesso non trova riscontro neanche rapportato alla genialità del talento stesso.
Quante volte è capitato di ascoltare dei generi ripresi da altri musicisti, il cui intento era sicuramente quello di offrire una visione originale e moderna di un determinato genere, illuminandolo magari con qualche sprazzo di soggettivo gusto musicale.
''Opera Prima'' riprende composizioni sia operistiche che sinfoniche delle quali il nostro orecchio è stato abituato almeno una volta nella vita all’ascolto, per lo più interpretato in maniera classica, con l’utilizzo di strumenti del tempo: pianoforte, violino, voce. Sono brani che si possono ascoltare nelle sedi d’elezione quali teatri, sale da concerto (sempre più rare soprattutto in città di provincia), palazzi d’Epoca in occasioni di eventi particolari…
Sono composizioni mirabili il cui equilibrio tra note, sensibilità musicale, genio oltrechè magia sinfonica data dal connubio delle varie personalità interpretative, ci narrano di ispirazioni catturate o improvvisate dal genio e fissate sulla pergamena di uno spartito, prima incise nella mente poi elaborate con estremo perfezionismo, e alla fine portate alla conoscenza attraverso il nostro udito. E l’udito di coloro prima di noi, testimoni a loro volta della magia di un momento effimero, quello dell’interpretazione che in tempi remoti non veniva fissato su disco, nastro oppure …su Spotify!
Eppure scalfire con una nuova visione i colossi quali l’“Allegro con brio” di Beethoven, l’aria del protagonista del rossiniano Barbiere se non, perché no, il “Va Pensiero” di G. Verdi, simbolo non solo del genio ma spesso dell’Italia stessa, non ne periscono la salda consapevolezza della loro grandezza; e l’udito delle nuove generazioni potrà assaporarne i riproposti incisi proposti dal Duronio, con l’intento di esplorare un genere non abituale per l’artista, ma composto al pari del suo repertorio consolidato, di note e pause e fraseggio in maniera ineccepibile.
Ecco quindi il coro pucciniano di ''Humming chorus'': Puccini si trasfigura con ritmo incalzante, privo dei chiaroscuri voluti dal Maestro lucchese ma con precisione di tempo e fedele alle note pensate da uno dei più grandi operisti di tutti i tempi.
Oppure ecco il virtuosismo della Regina della Notte mozartiana che ripropone le arditezze sopranili in chiave schiettamente asciutta, prima dell’anima intrinseca della cattiveria insita nel ruolo.
Ma Duronio non ricerca fraseggio, non ricerca i piani e i forti, non ricerca l’anima delle composizioni. Come Erik Satie, spoglia le grandi opere di tutta l’anima per rappresentarle alla sua maniera. Né corretta né errata, a meno che non le si rapporti con la tradizione.
Egli le rivisita attraverso i suoi occhi e le interpreta con lo stesso pragmatismo con il quale riesce ad essere coerente in ogni brano affrontato, senza la ricerca di altro che i suoi strumenti generosamente offrono.
Ovviamente non vi è un quadro d’insieme affrontato nella realtà stessa della composizione, neppure indagando il “territorio” musicale nella sua interezza ma affrontandolo entro i paletti del proprio ambito musicale.
Il lavoro di Duronio all’avviso della scrivente penna non rientrerebbe nel genere fusion classico moderno, ma una firma a sé stante. Una individuale sperimentazione di un genere come un altro in cui il musicista parla di sé prima ancora del brano proposto. In quest’ottica il brano ha il senso che deve avere, incorniciato di una sua propria ottica interpretativa, non ambendo ad alcun intendo divulgativo di massa, ma parlando del suo stesso linguaggio musicale con il quale vengono rielaborati i temi.
La sperimentazione quindi può effettivamente esistere attraverso il ritmo e non apparire mero riflesso sbiadito delle opere rimaneggiate. (Elisabetta Amistà)