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PIETRO RIGACCI  "Late piano sonatas Skrjabin"
   (2025 )

"Mai compositore fu più famoso in vita e più ignorato dopo la morte", scrisse il suo biografo Bowers... fulcro del suo genio, le Sonate incarnano il genio sinestetico di Aleksandr Nikolaevic Skrjabin, rese alle orecchie dell'ascoltatore magnificamente nella mirabile interpretazione del M° Pietro Rigacci.

Note come colori che producono nuvole di suono: questo ciò che colpisce al primo ascolto. Il simbolismo del compositore si palesa attraverso il tocco di Rigacci, fedele alle evoluzioni sonore indicate in spartito, ma al neofita amatore di musica classica nulla è dato per scontato.

Skrjabin non era dotato di una mano grande, ma ascoltando le Sonate, intrise di quel misticismo che gli è proprio, si percepisce una estensione del suo genio e le nuvole di suono spaziano attraverso le dinamiche dei chiaroscuri, in una tela costituita da improvvisi pianissimi a cui susseguono decisi incisi, a dettare le variabili del suo disegno sonoro unico, mai spezzato, un discorso continuo.

Rigacci, dunque, asseconda il genio del compositore, prestando il suo tocco mirabile all'incessante discorso musicale, costituito da domande e risposte. Interessante comprendere questo discorso sinestetico, composto da "fasci di luce sonora" (non dimentichiamo che Skrjabin usava una tastiera colorata proprio per avere immediatamente il connubio visivo sonoro durante i suoi studi al pianoforte); lo stesso Skrjabin elaborava ogni singola nota oltre il suo valore intrinseco di armonici.

Nella Sonata n.7 Op.64 detta "Messa Bianca", il cristallino angelicato si pone all'ascolto: fu composta tra il 1911 e il 1912 come risposta alla "diabolica corrotta" Sonata n.6 Op.62. Skrjabin si rifiutò di suonare in pubblico la Sonata n.6, il misticismo lo pervadeva fino a ridurlo esanime dopo poche battute, lo stesso misticismo che faceva scorgere in lui sotto forma di scrittura musicale tutto ciò che non era possibile scorgere con la mente, lo portava a vivere i suoni e i colori musicali; quindi, la natura celestiale, azzurro e bianco che si intrecciano a disegnare la tavolozza ideale della Sonata n.7 a curare le tetre orripilanti immagini diaboliche della Sonata n.6, illumina con escursioni nella zona tonale più acuta dello strumento.

Queste sonorità sono accentuate dal Rigacci e percepite da noi in maniera nitida soprattutto dopo l'ascolto della Sonata n.6, inquietantemente scritta e alla quale il nostro interprete pone il particolare sentimento attraverso la decisione, la risolutezza del tocco dei momenti più intensamente drammatici, orribili, orribilmente interiorizzanti. Il colore è scuro, opaco, vermiglio fino al nero.

Rigacci muove la comprensione interiore dello stato d'animo, vivendolo in prima persona: è impossibile rendere corretto nella esecuzione un lavoro di Skrjabin senza viverlo e senza entrarci attraverso il misticismo proprio del compositore. Egli è il mezzo. Skrjabin il genio.

Il pianismo di Rigacci è pervaso dalla completa padronanza del suono. fondamentale per rendere chiaro questo simbolismo di note e colore. Egli lo fa suonando ogni singola nota, mai lasciata al caso, mai buttata via. Vissuta dalla prima all'ultima. Rigacci capisce che se vuole suonare Skrjabin deve "essere" Skrjabin, andando oltre il semplice estetismo musciale.

L'estetismo, la bellezza della Sonata n.5 Op.53 che precede le suddette citate (è la prima ad essere composta ad un unico movimento), viene regalmente eseguita da Rigacci, e lo stesso estetismo, tangibile nel minuto 4:40 della esecuzione, viene senza pietà bypassato, a favore sempre e comunque dell'essenza caratterizzante il centro e il cuore dell'ispirazione del musicista russo.

Rigacci non cesella mai. Il discorso è fluido, continuo. Se innegabile è il conflitto evolutivo del genio russo in termini mistici attraverso la personale tecnica compositiva e l'uso del centro sonoro, snobbando il tradizionale metodo compositivo, il cammino di Skrjabin si articola con una precisa influenza tardo romantica (impossibile per l'uomo del suo tempo non rimanere coinvolto dal temperamento chopiniano), al simbolismo futurista, un processo tipico di cui ogni genio si abbevera: dalle fonti alla completa conquista del proprio genio domandolo e eleggendolo a firma alla conclusione di questo processo.

Allora la grammatica musicale si percepisce nelle Sonate esplicitamente, in quanto si fa più chiaramente personale nelle ultime composizioni dove la tonalità non viene espressa e l'accordo mistico (consistente, in soldoni, in un esacordo come base armonica e melodica di sei o sette note sulla quale poi far partire i successivi accordi a sviluppo del discorso sonoro).

Dunque Rigacci si percepisce chiaramente aver sperimentato tutti i colori attraverso lo studio delle dinamiche applicate su ciascun accordo. Questo studio rende il tocco giusto per poter interpretare Skrjabin: i pianissimi e i fortissimi passando dalla fluidità tecnica corretta hanno dettagliato nella sua mente ogni elaborazione per poi finalmente trovare la padronanza del gesto pianistico.

Allora le quarte aumentate risplendono di vitalità, oppure le quarte diminuite si ricoprono di un polveroso azzurro pastello, o ancora divengono un deciso arancione nella quarta giusta. Perchè con Rigacci è la chiave di lettura che svela "...ciò che la mente umana non può concepire". Egli è il mezzo per comprendere la sinestesia Skrjabiniana nella sua completezza.

Buon Ascolto. (Elisabetta Amistà)