VALERIO SANZOTTA "Infinito vuoto attendere"
(2025 )
Oltre alle indiscutibili doti personali, il cantautore e filologo romano Valerio Sanzotta ha avuto anche la fortuna di crescere e di formarsi in un ambiente culturalmente elevato e in una famiglia che l’ha stimolato verso lo studio approfondito della musica.
Ha iniziato fin da bambino a suonare il violino e il pianoforte, optando poi per la chitarra. Sulla scia del cantautorato italiano, francese e statunitense degli anni ‘60 e ‘70, in adolescenza comincia a suonare in pubblico le composizioni proprie e nel 2008, quattro anni dopo essersi laureato a Roma in lettere e filosofia, esordisce con il suo primo album uscito tramite la Capitol Records e intitolato “Novecento”, la cui title track partecipa anche al Festival di Sanremo di quell’anno.
Seguono dieci anni nei quali si dedica soprattutto alla carriera accademica nell’ambito linguistico e letterario, dopodiché la collaborazione con la casa discografica Vrec rende possibile la realizzazione di altri suoi tre dischi: “Prometeo liberato” (2018), “Naked (Oltre lo specchio)” (2020) e il presente “Infinito vuoto attendere”, uscito a fine novembre 2024.
Nei dieci brani che compongono “Infinito vuoto attendere” (in realtà sono undici, se mettiamo in conto anche la rielaborazione di “Famous blue raincoat” di Leonard Cohen, disponibile solo nella versione CD), le atmosfere sonore provocano delle emozioni autentiche e forti, nonostante gli strumenti elettronici e gli “effetti speciali” vengano utilizzati poco.
Indubbiamente si sente anche qui il prezioso contributo del produttore Marco Olivotto, colui che persino durante la pandemia, quando i mezzi tecnici erano difficilmente raggiungibili, ha creato insieme al cantautore toscano Lorenzo Del Pero un brano di notevole qualità acustica e artistica intitolato “Vola il corvo” (Vrec Music Label, 2020).
L’alto livello di preparazione filologica e la familiarità di Valerio Sanzotta con la cultura e con la lingua inglese si notano nei testi di alcune canzoni del disco, in cui i versi in italiano e quelli in inglese si alternano. Questo accade nella canzone dedicata alla dea Persefone, in “I gave way”, brano dal carattere rock anni ‘90 che parla di un padre e di qualcuno “che si è arreso al sollievo di un silenzio infinito”, in “Tu non ricordi nulla”. Si tratta di una canzone meditativa nella quale viene fatta una richiesta importante (“Give me some reason or just a little time”) e in “Ozymandias” – il cui testo, interamente in inglese, coincide con gli ultimi cinque versi del celebre sonetto scritto all’inizio Ottocento da P. B. Shelley.
Il cantautore recita i versi di Shelley per mezzo di una melodia pacata e precisa, che permette la concentrazione e la riflessione sul significato di quanto espresso nella poesia: “nothing beside remains”... nulla rimane dal potere di un faraone, così come nulla rimarrà dalla vita di ognuno di noi.
La stessa idea, quella della vita passeggera “di chi attraversa sorridendo il fuoco e l’ignoto sconfinato che ci chiama”, si evince anche dal brano che dà il nome all’album: “Infinito vuoto attendere”, in cui il duetto con la voce penetrante del cantautore Andrea Chimenti richiama alla memoria l’atmosfera dei brani di David Bowie. Le voci di Sanzotta e di Chimenti si alternano in un dialogo cantato e declamato, facendoci sospirare di fronte all’evocazione dell’individuo comune che vive un’esistenza ripetitiva e – secondo l’autore – priva di senso.
I verbi sono in prima persona singolare; vi è un “me” generico e collettivo che si lamenta: “Vado e ritorno, non so dov’è il limite della vita offesa”; “Cado e risorgo e sarò un’immagine, l’immagine dell’infinito attendere”.
Siamo poi invitati a ballare con le ombre d’inquietanti fantasmi e zombie, nel recitativo intitolato “Schattentanz”. Qui non è molto chiaro quale grande emergenza esistenziale e comunicativa abbia spinto Valerio Sanzotta a servirsi di alcuni passaggi del Vangelo e della Bibbia prendendosi la libertà di modificarli secondo una propria visione del mondo, ma – come già constatato nel caso di tante altre opere rimaste nella storia – i prodotti artistici in grado di suscitare reazioni polemiche da parte di alcuni fruitori hanno un valore estetico decisamente superiore a quelli che lasciano indifferenti.
Il brano di apertura dell’album, intitolato “Haiku sulla Maddalena penitente”, ha probabilmente la metrica di un valzer ed è piuttosto difficile identificare nei suoi versi la struttura caratteristica di un tradizionale haiku. Il brano finale invece, intitolato “Notturno”, usa il pianoforte e può ricordare – con un piccolo sforzo d’immaginazione – i notturni scritti dai grandi compositori del Romanticismo. Le due canzoni hanno in comune la raffinatezza melodica e sonora, ed entrambe hanno dei testi in linea con la poesia dell’ultimo secolo, nei quali l’intellettuale medio o più fedele alla tradizione fatica a scorgere il significato globale.
Un’altra misteriosa canzone è “Palermo”, nel cui testo a quanto pare mancano i riferimenti specifici al capoluogo siciliano oppure all’omonimo quartiere della città di Buenos Aires. Qui probabilmente viene espresso un desiderio di miglioramento sociale (“Ci fosse un poco di pace/ Ché la pace basta;/ Pietà e innocenza/ Di chi va e chi resta”), desiderio forse presente anche nel brano rock “Parola sentinella libertà”: “Parola, che non darai pace al sonno di chi può accettare/ Che un uomo muoia in mare,/ Che una foresta bruci,/ Che un uomo muoia in mare,/ Che la sua casa bruci”.
Nella registrazione del disco, Valerio Sanzotta (voci, chitarra elettrica, chitarra acustica) è stato coadiuvato in studio non solo da Marco Olivotto – che, oltre ad aver curato la produzione artistica, ha suonato il pianoforte, le tastiere e il basso elettrico in “Tu non ricordi nulla” e “Palermo” – ma anche da altri musicisti senza i quali tutto ciò non sarebbe stato possibile: Fernando Pantini (chitarra elettrica, chitarra acustica), Pietro Casadei (basso elettrico), Fabrizio Fratepietro (batteria).
Buon ascolto! (Magda Vasilescu)