recensioni dischi
   torna all'elenco


THE CHRIS ZEK BAND  "Agarthi"
   (2025 )

Non c’è molto da dire per chi ha ascoltato il disco, è tutto chiaro, limpido e stampato in frequenze, in hertz: un bel blues psichedelico che parte dai territori anglofoni per conquistare proseliti ed appassionati in ogni dove.

Il brano d'apertura ''Feel in Mississippi'' ha il suo riff psichedelico a differenziarla dal linguaggio blues oramai di padronanza mondiale (forse il vero esperanto?), con la chitarra slide a fare da contraltare. Molto bella la batteria.

''Peacemaker'' sembra invece penalizzata dal punto di vista della produzione, ma non si discosta dalla linea tracciata dalla prima canzone dell’album, forse è meno psichedelica e vicina per certi aspetti ai Lynyrd Skynyrd.

Tutte le canzoni escono dalla penna di Christian Zecchin, voce e chitarra, e sono arrangiate dalla band. Le influenze, di stampo rock e psychedelic rock 70s sono molteplici, riconoscibilissime e riconducibili al periodo d’oro del rock e ispirate da formazioni come Allman Brothers Band, Grateful Dead, Santana (la strumentale ''Agarthi'' su tutte) e Pink Floyd, ma sfiorano anche atmosfere prog vicine ai Genesis di Peter Gabriel.

Le chitarre di Christian Zecchin e le tastiere di Matteo Bertaiola sono i due binari che tessono le melodie portanti dei vari brani, mentre l’accompagnamento offerto da Elia Pasqualin (basso) ed Enea Zecchin (batteria) è in perfetto bilanciamento funzionale, mai invasivo o troppo personale.

Christian Zecchin a proposito del nuovo album dichiara: «Agarthi (strumentale alla Santana) è un luogo leggendario racchiuso nel centro della Terra, luogo originario dell’umanità. La leggenda narra che uno degli accessi per Agarthi si trovi nel deserto del Gobi, nell’Asia orientale, dove vivrebbe un’altra civiltà, più evoluta. Il titolo ‘Agarhi’ è stato scelto in quanto racchiude un significato legato all’esplorazione del legame con altri luoghi, immaginando carovane che attraversano deserti alla ricerca di un contatto in segno di pace».

Bellissima l’atmosfera suggerita dalle tastiere di ''Baby blue'', con il respiro chitarristico che precede l’entrata della voce di floydiana suggestione. Colpisce ''Dancing with the fire'' per l’istintivo accostamento ideale alle confederate lande d’oltreoceano, con un intermezzo di piano rhodes mozzafiato.

L'episodio finale ''Whispering blues'' è appunto un blues sospeso tra gli armonici ed i fraseggi di “Gilmour” ed ai tasti di Manzarek, favoloso l’uso del volume in queste parti di piano, se potessimo immaginarne una interpretazione fra mostri sacri. Bell’album, con i giusti suoni dell’antologia blues e davvero ben composto. (Johan De Pergy)