EMILIANO D'AURIA "The baggage room"
(2025 )
Secondo lavoro per Emiliano D'Auria, “The Baggage Room” esce per l'etichetta Via Veneto Jazz e vede il pianista marchigiano dirigere un quintetto nuovo. Accanto a lui quattro musicisti statunitensi: Philip Dizack alla tromba, Dayna Stepehens al sassofono tenore, Rick Rosato al contrabbasso e Kweku Sumbry alla batteria.
Le composizioni sono funzionali a far partire i musicisti nell'improvvisazione, come di consueto nel jazz, che trae ispirazione da uno dei suoi topoi cardine: l'immigrazione negli Stati Uniti. Il macrogenere ha infatti origine afro-cubana, poi diventa quello che conosciamo grazie ai contributi afroamericani, italoamericani, e più in genere statunitensi.
Ovviamente la storia è molto più complessa e sfaccettata di così, e ci sarebbero troppi nomi da menzionare. Rievoco solo queste nozioni di base, perché il pensiero dietro a quest'album sta proprio nelle vicende dell'immigrazione, ricordata dal titolo del secondo brano “1891: Ellis Island”. Ellis Island è un'isola artificiale che fino al 1954 era centro di smistamento degli immigrati, e là vicino svetta la Statua della Libertà, mentre le persone restavano “Temporarily Detained” e la osservavano “Searching for the New World”. Anche la titletrack fa riferimento all'isola: chi scendeva dalla nave, depositava i bagagli in una precisa stanza, probabilmente ora visitabile, in quanto l'isola è stata riaperta nel 1990 ed è diventata Museo.
L'atmosfera che si respira nel disco è quella tipica del jazz newyorkese. Il tema di “The Eye Man” si basa su una progressione discendente e la tromba solista è particolarmente malinconica e commovente, seguita dal sax altrettanto languido. Invece una sequenza di diavoli in musica (nel senso dell'intervallo di quinta eccedente) apre “The Story of Sacco and Vanzetti”, titolo che ricorda i due anarchici italiani, emigrati negli USA e ingiustamente condannati a morte nel 1927. Per chi vuole ricordarsi questa vicenda, c'è un film del 1971 di Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté (un nome, una garanzia!).
La lunga attesa di poter essere autorizzati a vivere e abitare è descritta dal brano sospeso “The Long Wait”, e quando arriva il permesso ci si ritrova alla ricerca non solo del proprio spazio, ma anche di connessioni umane, di contatti amici per mutuo soccorso. “Human Connections” corre su questo pensiero, con melodie più vivaci. E infine, un pedale armonico sostenuto dal contrabbasso apre “Third class”, la cui melodia di pianoforte inizia su scala misolidia ma poi prende delle deviazioni “frigie”, dando un esito suggestivo al brano.
La terza classe nei treni in Italia è stata abolita nel 1956, non so come funzioni negli Stati Uniti oggi. Fatto sta che “The Baggage Room” riporta il jazz alle sue origini, rinnovandone la narrazione e facendoci ascoltare dei professionisti del settore all'opera. (Gilberto Ongaro)