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ERLEND VIKEN TRIO  "Ville Veier"
   (2025 )

Erlend Viken suona la viola standard e la viola Hardanger (tradizionale norvegese), strumento che qui a Music Map abbiamo già incontrato più volte nelle mani di un altro Erlend, Apneseth (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8322). Se il folk di Apneseth puntava a raggiungere una dimensione trascendentale, il trio di Viken ha un'intenzione leggermente diversa. La direzione ipnotica c'è sempre, ma l'approccio è più, come dire, “umanistico”, nel senso che l'esito è quello di un'emozionalità diretta, umana, terrena.

Accanto a Viken troviamo Marius Graff alla chitarra elettrica e al banjo, e Sondre Meisfjord al contrabbasso. L'album “Ville Veier”, uscito per Heilo Records, è prodotto da Olav Torget, che collabora alla creazione di alcuni brani, suonando lo n'goni, cordofono originario dell'Africa Occidentale. In due brani compare ospite una cantante e ricercatrice che già conosciamo: Synnøve Brøndbo Plassen. Lei nel 2021 aveva pubblicato un album dove con la sua voce imitava il violino con una lingua inventata (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=8783), e nel 2023 si è invece ispirata ai canti delle mandriane (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=10456).

L'Erlend Viken Trio apre l'album con un tema tradizionale, “Nørre Myrelåtten”, suggestiva melodia che si alterna tra scala misolidia e modo lidio. L'altro tradizionale evocato è “Springar etter Gottfried”, iniziato strofinando le corde senza emettere note, per creare suspense. Qui canta Plassen e Torget suona lo n'goni, in un crescendo intensità nel solco del folk. Plassen compare anche nel settimo brano, “Bøgata Blues”, che come suggerisce il titolo, procede sulla scala pentatonica blues.

I brani propri, a parte il suddetto “Bøgata Blues”, in più occasioni affondano nel country americano, come “Road from Glasgow”, con una velocità quasi da hoedown. “Roadsterbassgangarhalling” invece è una delle fasi ipnotiche del disco, dove la ritmica è costante e convinta ma “annacquata” dalle note legate.

Tanto carina la genesi di “Mingus Lullaby”. È dedicata a un cane, il cucciolo Mingus, che presenzia durante le prove del trio. Viken racconta che era affettuoso ma un po' dispettoso: mordeva il cavo della chitarra. Ma quando iniziavano a suonare, si distendeva e si rilassava. Così il brano si muove placido, dando importanza alle note cullanti di contrabbasso.

“Rødstøl” inizia mesto e solenne, e anche qui la ritmica si innesta gradualmente. È qui che si raggiunge uno degli apici emotivi del disco, quel calore umano che accennavo all'inizio. “Byrsevegen” invece accende il buonumore, con una vivace melodia di nuovo su scala misolidia, che è quella che tanto piace ai registi quando vogliono girare scene di mercati popolari, o di navi che salpano. Anche qui si respira un po' dell'aria dei trisavoli degli statunitensi. Tradotto: irlandesi.

La stessa sensazione chiude il disco in un brano in 3/4, “Vals Fatal”. Ogni musicista ha il suo spazio d'assolo, e la chitarra a un certo punto accende anche la distorsione, chiudendo il brano con una scossa. La traccia sembra finita, ma gli ultimi secondi sentiamo una specie di uccellino che cinguetta.

Nei crediti non è scritta ma... ho il sospetto che questo uccellino sia Synnøve Brøndbo Plassen, perché già in passato ci ha stupito con le sue imitazioni vocali! Insomma, questo disco ha le sonorità folk norvegesi che si mischiano con il country americano, ma è concepito come spesso accade con approccio jazz, viste le lunghe digressioni solistiche. Un buon modo per sognare i fiordi, specie l'Hardangerfjord, da cui la viola prende il nome! (Gilberto Ongaro)