DAVIDE MATRISCIANO "Libidal"
(2024 )
Questa è tanta roba, ma nel senso che è proprio tanta come quantità! Quarantadue canzoni pubblicate tutte insieme in un triplo album! Perché? In effetti, dice Davide Matrisciano, l'intenzione era pubblicare tre album uno alla volta, come una trilogia, poi ha deciso di buttarli fuori tutti “per fare spazio ad altri progetti”.
Sembra un'affermazione un po' immodesta, ma forse la vera ragione è che il mood è talmente affine in tutto il progetto, che alla fine è un unico gigantesco concept. Un concetto, o meglio, una serie di concetti tra loro legati, sviscerati in così tante sfaccettature, che era un peccato dividerle; sarebbe stato come spezzare un corpo umano in tre parti... quello di Matrisciano stesso!
Uscito per La Cellula Records e Maxsound, “Libidal” è un viaggio approfondito nella mente di Davide Matrisciano, sia nei suoi ricordi biografici, che nei suoi pensieri, poetici e critici. Tutte le canzoni sono insistentemente arrangiate con suoni anni '80. Un synth pop con la batteria elettronica che non fa nulla per nasconderlo. Ci sono diversi ospiti di lustro, come Vittorio De Scalzi dei New Trolls, e spicca nel singolo “29 luglio” la collaborazione con nientemeno che Johnson Righeira. Sì, proprio lui dei Righeira!
Matrisciano è nato il 29 luglio 1985. Praticamente una settimana prima di Annalisa. Non so perché sto pensando ad Annalisa, o forse lo so, ma non vi riguarda. La mia popstar italiana contemporanea preferita, il mio guilty pleasure (ma quale guilty dai, non posso sempre ascoltare Genesis e Cardiacs!)... Dicevo, a un certo punto anche lei si è tuffata nella retromania. Forse per questo quando ho ascoltato “Bellissima” mi ha stregato. Oltre ad avere un ritornello con una melodia di più di 5 note (incredibile oggi!), l'arrangiamento sembrava di Alberto Camerini.
Ecco, anche Matrisciano per volare alla sua infanzia, ha scelto questo sound new wave. Di solito io mi tiro giù a orecchio tutti i testi per parlare di un artista, ma qui non riesco, non solo per la quantità, ma anche perché l'autore corre, lascia scorrere il flusso di ricordi senza pause, dal suo “Trasferimento del '91” al “Bar Fulcanelli”. Come ogni millennial che si rispetti, i ricordi sono pieni zeppi di marche, tanto da chiudere il primo dei tre album con la canzone “Pubblicità”, dove compaiono “Ambrogio che scalpita insieme a Kaori”.
Ma c'è tutto lo scibile nostalgico: una canzone dedicata allo “Zampirone” e una alla “Superclassifica Show”, storica trasmissione delle classifiche dei dischi più venduti, con Maurizio Seymandi, il Super Telegattone e Dj X, poi diventato Dj Super X (che è quello che ricordiamo sia io che Matrisciano, quella faccia psichedelica affascinante). Poi ci sono le caramelle Rossana, le figurine, il Super Liquidator, le Galatine, gli Sbullonati, Bim Bum Bam e Fivelandia, ma anche “il pluralismo e i baffi scuri di mio padre”, quindi si accenna alla situazione politica dell'epoca, quella del Pentapartito.
Infatti nel terzo disco arriva “Craxi Mania”, per “riconsiderare il capitalismo come fascino della media borghesia”, confrontando quella situazione non perfetta con l'odierna “epoca dei mitomani”. C'è anche uno sguardo critico, come in “Heather Parisi” o soprattutto “La Biennale di Venezia”, che definisce l'evento “macelleria d'arte contemporanea”. “Il cannibalismo è positivo” invece è una provocazione filosofica: “Non c'è coraggio biblico nella nostra politica, passano carri funebri, sono la parodia del Louvre”. Ma non pensiate che Matrisciano ci imponga un diktat ideologico, anzi. In una canzone dice: “L'hobby che amo è distruggere le ideologie, che sono telenovelas gassate”.
La celebrazione del passato, anche quando critica, ha il primato nel disco. Certe canzoni iniziano citando palesemente classici ottantiani. “Occhi sbarrati su Cimitile” inizia come “Blue Monday” dei New Order, mentre “Acne” parte come “Take my breath away” dei Berlin. C'è anche il rispolvero dei Blockbuster, l'iniziazione al cinema proibito passando “ore frenetiche nelle videoteche di Nola”, come canta in “Terrore per adulti”. Più in là infatti, con “La messa di Joe D'Amato” celebra il noto regista di “Buio Omega”. Ma oltre ai mostri dei film, bisogna stare attenti ai pericoli veri, come “l'uomo nero” citato all'inizio di “Gelati Eldorado”.
Qua e là ci sono momenti notevoli di scrittura creativa, come ne “L'ascensore per la festa”: “Dell'adriatico contagio al plenilunio, rimangono graffiti di sutura”. O i “genocidi interscambiabili” nell'acuta “Mattatoio mobile”. O ancora in “Calicantus (La riesumazione)”, dove l'eccitazione erotica si mescola con l'oggetto vintage: “La tua nudità da Lady Godiva, vestita solo di verde rame, è seppellita in un floppy-disk ancora funzionante”, o la “clorofilla del destino” nel racconto di “Progetti di un picnic”.
“Strobosfera”, col suo basso pulsante e i suoni di tastiera che sembrano rubati dal primo disco di Lucio Battisti con Panella (“Don Giovanni”, 1986), è una di quelle con la patina più vintage, sembra quasi di vedere le immagini catodiche dove le luci rimanevano impressionate per qualche istante sullo schermo. “I graffi di Silvestro” invece racconta un delitto realmente accaduto, ma non sono in grado di riconoscerlo. Matrisciano non fa sconti: in “Libidal” c'è anche cronaca nera. Come quella di “Siamo tre bambine”, inquietante racconto di “evasioni dolci da riti satanici, solo a Beverly Hills o su MTV. Una sola crisi d'identità è bastata per annientare noi”.
Ci sono passaggi incomprensibili. “Salotto 1928” è del tutto ermetica: “Il salotto è schiavo delle rose, specie di quella più seria (…) nitrisce l'ecografia sintetica, mediante consuetudini”. “L'armadio del sabato sera” nomina degli “uteri impazienti”. Sono molteplici le fugaci visioni di questo tipo: “Di sadismo è satura la Via Crucis, un calvario scelto dalle pro loco. Da quel santone di Avella ne nasce un altro!”. Scherza così in “Provincialismo urrà”.
La trilogia si conclude con la quarantaduesima canzone che finalmente spegne per un po' i beat elettronici, per darci un'introduzione di pianoforte. “Autostoppiste” dura 11 minuti, ultimo oscuro racconto di Matrisciano: “Sono in fuga dal ricordo della frusta e della pece. Il mio cuore è ancora sordo per il male che si fece. Guido avvolto nella tela di una lucida amnesia”. Sarà l'incontro di “una bionda” a distrarlo dalla malinconia... e allora riparte la batteria synth. Nella seconda metà della canzone una voce femminile prende il sopravvento, con un graffiato coinvolgente. Poi, una borsa lasciata nella sua auto diventa il pretesto per ritrovarla dove l'ha incontrata... ed è un cimitero, la riconosce in una lapide di vent'anni prima!
Come si concluderà questo lungo affresco vaporwave? Con la voce che canta al vocoder. Che dire, ci vuole il tempo giusto per ascoltare tutto con cura. E forse è questa che Matrisciano ci chiede: l'attenzione, il tempo. Io ho provato la follia di ascoltare tutto di fila, ma così mi sono sconcentrato, quando sono arrivato ad “Haiti”. Meglio ascoltare un disco alla volta, come episodi di una miniserie. Un'ultima cosa può chiarire quest'operazione. I tre dischi di “Libidal” hanno dei sottotitoli: “Canzoni antidolorifiche”, “Canzoni antidepressive”, “Canzoni antistaminiche”. È una terapia. (Gilberto Ongaro)