NAMRITHA NORI "Traces and roots"
(2024 )
“Venezia mi ricorda istintivamente Istanbul”, cantava Battiato, in uno dei suoi pezzi più ermetici. Qui Battiato non c'entra, ma poi spiego perché ho pensato a questo verso.
La ricerca di Namritha Nori ha come risultato un frullato particolare, del quale si riescono a distinguere gli ingredienti originari solo a patto di segnalarli di volta in volta che si presentano. Operazione faticosa e forse anche inutile: a questo punto, godiamoci l'esito finale! La ricercatrice, cantante e percussionista Namritha Nori è italo – indiana, ma la sua esplorazione non si è fermata a queste due sole nazioni. Ha studiato l'opera al Conservatorio Pollini di Padova, e in India ha imparato la musica dhrupad. Ma la sua attività si alterna tra Venezia e Istanbul (ecco il collegamento). Ne consegue che ha voluto esplorare anche la musica folk anatolica.
A Beirut, in Libano, ha studiato la musica classica araba, e per finire ha indagato anche la musica sefardita, cioè degli ebrei spagnoli. Il risultato quindi è un mix di musica indiana, turca, araba e sefardita, e se posso distinguere certe scale arabe microtonali, e posso geolocalizzare certi strumenti musicali, non ha senso però farlo in maniera didascalica, nell'ambito di questa world music, la cui filosofia è proprio quella della contaminazione, del sogno interculturale.
In fondo c'è un criterio: India a parte, si tratta di ispirazioni tutte legate alle coste del Mediterraneo, e in questo il percorso ricorda le stesse tappe de La Cantiga De La Serena, progetto pugliese che dal Gargano (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=10380) aggiunge solo la Siria al percorso, ma con un esito meno world e più propriamente folk.
Il viaggio inizia con “Ghannili, ya Dea (prélude)”, due minuti di intensa interpretazione vocale, ricca di fioriture e vocalizzi, e un flauto dal suggestivo suono. Non so dire con precisione se sia il ney (egiziano) o il duduk (armeno), ma fa sempre venire i brividi, e tornerà più volte nel disco, anche nel pezzo in spagnolo “Tierra y sal”, nel preludio “Elak” e nel finale in italiano “In-canto a Lei”. In “Mia Thálassa, mia Mními” si intravede un'intenzione jazz fin dall'inizio, che a metà brano si paleserà, con fasi di improvvisazione melodica. Le scale microtonali si sentono sia qui che in “The Names Of My Life”.
Namritha Nori è anche musicoterapeuta, e un po' si sente, nell'approccio delle musiche, create in maniera che siano sempre morbide, avvolgenti, mai ostili. Un abbraccio interculturale che rinnova il desiderio di costruirsi un'identità, tanto forte per chi come lei ce l'ha multipla, ma così importante anche per chi ne ha una sola, e magari gli sembra stretta, e invece di arroccarcisi dietro una bandiera e dei confini, cerca tracce di sé anche al di là di ciò che già conosce. Alla fine, la salutare lezione della world music è sempre quella: tante culture che si “scontrano”, ma una sola umanità che invece si incontra. (Gilberto Ongaro)