GEORGE BROWN "Where I'm coming from"
(2024 )
E’ uscito, dopo poco meno di un anno dalla sua dipartita, l’album postumo di George Brown, ''Where I’m coming from'': molto gradevole ma non di facile ascolto.
Bisogna infatti calarsi in un soul che a volte può sembrare ridondante nelle armonie, ma che piano piano accompagna chi lo ascolta verso la vera essenza della creatività dell’artista.
Il personaggio, dopo aver dedicato un’intera esistenza allo storico gruppo Kool & The Gang, scandendone il tempo e il groove come batterista, riserva gli ultimi istanti della sua vita a un progetto solista che lo vede come cantante, polistrumentista e perfino co-produttore insieme a Claude Ismael.
I generi musicali trattati dal compositore sono diversi. Sostanzialmente si potrebbero racchiudere in tre momenti o stili: funk, soul, rhythm and blues. Non mancano poi sconfinamenti verso ballate pop e country.
Ma andiamo per gradi. Il disco si apre con ''Gemma'', una dolcissima bossanova in stile Jobim: più che la prima traccia, questa sembra essere una gradevole presentazione dell’album, che nulla ha che vedere con il resto dei brani.
''She just wanted to be loved'', il secondo pezzo, rincuora gli ascoltatori storici di Brown, grazie al suo incedere R&B accattivante e dagli arrangiamenti che danno un’ottima apertura armonica alla composizione. Dello stesso stile, ma con ritmiche diverse, ''Shawty’s got'': con armonie e ritmica slow funk.
Continuando con il funk: ''Leave it on the fire'', coadiuvato dalla talentuosa cantante Ami Miller, ''Your body soul'' e ''My woman''. Quest’ ultimo brano è un egregio esempio di funk modale che farebbe venire voglia a qualsiasi musicista di suonarci sopra un assolo. Assoli che purtroppo in questo album scarseggiano.
Arriviamo alla parte soul, quella preponderante. I pezzi sono ben sei: ''Tryna to feel your need'', che rivede la presenza della Miller, ''Dreamdancing'', ''It’s all about the way you love me'' (un po’ pop), ''Hands up'', che con l’hammond strizza l’occhio al blues, ''We don’t need a reason'' e ''Just to make her happy''.
La parentesi del disco, forse quello più atipica per un artista come George Brown, arriva con l’ascolto con ''Nobody love me like you'', ballata che deve le sue venature country all’utilizzo di un lap steel negli arrangiamenti, ''Honey'', altra ballad, e infine ''What if'': vero e proprio testamento spirituale, che ricorda sia nelle armonie che nel testo ''Imagine'' di Lennon.
Certamente è un disco da ascoltare e da non perdere per la propria cultura musicale. E come lo ricorda Ami Miller su suo profilo instagram: “Rest in peace to one of my musical mentors and friend, George Brown, one of the founding members of Kool and the Gang”. (Andrea Allegra)