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MARIUS NESET & LEIF OVE ANDSNES  "Who we are"
   (2024 )

Sassofono (tenore e soprano), pianoforte, flauto e violoncello. Questi strumenti si incontrano nelle composizioni del sassofonista Marius Neset, in quartetto col pianista Leif Ove Andsnes, la flautista Ingrid Neset (sì, è la sorella di Marius) e la violoncellista Louisa Tuck. Alla domanda: chi sono? La risposta è proprio il titolo dell'album. “Who we are”, uscito per Simax Records, è una festa per le orecchie che hanno bisogno di musica “classica”, termine improprio per definire la musica composta con presupposti formali. Cioè, musica libera, sganciata da altri significati se non quelli musicali.

Nelle composizioni, scritte con un certo gusto per l'accostamento dei timbri (come in “Evolution”, quarta parte della suite d'apertura “Who we are”, che dà il titolo all'album), è prevista una dose di improvvisazione, da parte di Marius Neset al sassofono, ma si tratta di uno degli elementi contemplati all'interno della composizione stessa, non un momento “d'assolo” nel contesto di un loop ripetuto, come si fa nel jazz “basico”. Ad esempio, in “Waterfall jig”, la cascata virtuosa e impazzita del sax tenore non parte dopo aver esposto un tema, ma direttamente all'inizio del brano, senza un riferimento precedente, sopra un ritmo staccato del violoncello. Quindi, ogni cosa è al suo posto, e nulla è lasciato al caso.

Ciò che fa vibrare la libido di chi ama la musica, è che tutti e quattro i musicisti suonano con grande espressività, e la composizione stessa valorizza questo lato, con rallentati, crescendo e diminuendo. In “Introduction to Prague's Ballet” spicca il pathos espresso dal violoncello, che poi in “Prague's Ballet” avvia un pizzicato, che rende elegante la progressione armonica drammatica, ricordandomi la colonna sonora del film “In the mood for love”, ma più scattante. Pianoforte e sax soprano deviano poi il brano in maniera più vivace.

Il flauto compare in una poco usuale funzione ritmica, in “Road to Polaris part 1”, suonato inizialmente sforzato, per far sentire di più l'aria e meno la nota. Gradualmente, la melodia si insinua, alternata da una nota fissa di riferimento, come un motore. Poi anche quella nota fissa cambia, e da lì si perdono momentaneamente i riferimenti. Finché non arriva il sax a fargli compagnia, ed ecco i fratelli Neset che ci regalano un dialogo gioiosamente energico.

La “Chaccone”, divisa in tre parti, mostra l'affiatamento tra Andsnes al pianoforte e Neset al sassofono. Nella seconda parte, l'intensità crescente e la successiva decompressione, sembrano provenire da un solo musicista anziché due, tale è l'intesa.

Di solito non sono d'accordo col detto: “Scrivere di musica è come parlare di architettura”, attribuito a Frank Zappa e a tanti altri. Perché la parola, se scritta col giusto equilibrio tra competenza ed entusiasmo, serve a prendere per mano chi non mastica i tecnicismi, per far entrare nella mente dei musicisti, e far notare bellezze che magari restano nascoste. Se no cosa ci faremmo noi qui? In questo caso però, davvero, c'è poco da scrivere, proprio perché questa musica, priva di connotazioni (cioè significati extra musicali che vi si possano “appiccicare” sopra), va semplicemente ascoltata. Con la sua freschezza compositiva e la sua frenesia esecutiva. Chapeau. (Gilberto Ongaro)