recensioni dischi
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FRANCESCO VENERUCCI  "Indian summer"
   (2024 )

Quanta vivacità nelle melodie di Francesco Venerucci! Uscito per Alfa Music, “Indian Summer” è una dimostrazione della fantasia compositiva e all'improvvisazione del pianista, che fa parte di un quartetto d'eccezione: ai sassofoni e ai flauti andini abbiamo nientemeno che Javier Girotto, che già abbiamo raccontato qui in un suo lavoro (https://www.musicmap.it/recdischi/ordinaperr.asp?id=10271); al contrabbasso c'è Jacopo Ferrazza, e alla batteria Ettore Fioravanti.

Ognuno dei musicisti è valorizzato dal proprio momento solista, ma la cosa che spicca in questo caso è l'affiatamento di gruppo, in quelle pause improvvise in “Just A Ballad”, o quelle insolite terzine discendenti all'interno de “Il Tempo Stinge”. In “Just A Ballad” c'è da notare che durante l'assolo, Girotto cita estemporaneamente “Roma nun fa la stupida stasera”.

Si incontrano ritmi sudamericani in brani come “I funamboli” e “El Chiriquiño”, brano quest'ultimo particolarmente gioioso, dalla melodia che corre sul sax soprano. Anche in brani più delicati e armonicamente malinconici non ci si siede mai; forse solo su “Dream”, che è una parentesi soffice del disco, ma non ad esempio in “Piccadilly Circus”. Durante l'assolo di contrabbasso, qui si può sentire in certi momenti anche la voce di Ferrazza, che sta cantando le note che improvvisa, segno che ormai il musicista è un tutt'uno col proprio strumento.

La melodia de “Le Stagioni” è un esempio di serenità in musica. Poi Girotto fa i numeri al sax, mostrando un'altra volta il suo virtuosismo. Al turno di Venerucci, nel suo assolo inserisce qua e là delle acciaccature blues. La titletrack invece non so perché si chiami così, non avendo nulla di “indiano”, ma progressioni armoniche tipicamente mediterranee. Con “Girotondo” si ritorna dalle parti de “Il Tempo Stinge”, con quegli accenti marcati con decisione. Girotto graffia con le note gravi del suo sax baritono, e qui arriva il momento di Fioravanti che si ritaglia uno spazio da protagonista alla batteria.

Ma dove sono i flauti andini? Eccoli in chiusura, all'inizio e alla fine della suggestiva “Lament Song”. Una chiusura dai colori diversi, che chiude un album pieno di bravura tecnica e di idee piacevoli da ascoltare. (Gilberto Ongaro)