DAYDREAM THREE "Stop making noise"
(2024 )
Stiamo vivendo in un periodo dove emerge la necessità di essere autentici. Sarebbe, in effetti, un’adeguata risposta a quello che si prospetta come il mezzo di comunicazione del futuro o, se si vuole, futuribile. Mi riferisco ai continui dibattiti sulle possibilità dell’AI (o intelligenza artificiale), mettendo al vaglio benefici e controindicazioni.
Sembra prevalere l’idea che vorrebbe evidenziato ed irrinunciabile l’aspetto positivo di questa entità o algoritmo. Ma sappiamo benissimo che così non è e non sarà mai. Già con l’avvento dell’audio in formato digitale ad alta risoluzione (musica liquida), la musica ha perso, perché è sufficente il “mezzo”, ovvero il computer. Non è più necessario quindi studiare (più o meno convenzionalmente) e non è più necessaria l’abilità del musicista. La sua figura è pertanto in pericolo d’estinzione? I presupposti ci sono tutti, anche se a tal proposito non sarei così lapidario.
Enzo Pepi, colui dietro al quale si cela l’idea di rock contenuta in questo suo ‘Stop making noise’, penso sappia benissimo cosa intendo ad inizio articolo e di che cosa sono preoccupato. Di fatto, in questa autoproduzione è sottintesa una potenziale risposta alle mie preoccupazioni: dieci brani registrati in presa diretta, senza tanti artifici, tra noise e post rock. Un modo concreto di dare un vaff... alle attuali logiche di mercato, che spesso intaccano anche la sfera indipendente. Una prova? La sempre più scarsa possibilità per una band underground di esibirsi.
Quindi ancora una volta è il rumore delle chitarre a gridare vendetta, azionando i volumi e sospinte da una sezione rtmica ossessiva e dura, alla faccia di tutto e di tutti. Un nuovo grido punk? Può anche darsi, perché l’artista arrabbiato è paradossalmente sempre più messo da parte, nascosto. La tendenza della musica del XXI secolo è “non far male”, lasciando il posto a cose poco “pericolose”. A tal proposito mi vien da pensare, per esempio, che se il nuovo MC5 avesse avuto un’anima come questo ‘Stop making noise’, in molti avrebbero gridato al miracolo.
Da parte mia mi sto sempre più convincendo che suonare in maniera non convenzionale sia anche un atto politico, una provocazione che in molti dovrebbero cogliere. Sono in gioco le libertà artistiche, considerato che stiamo vivendo in un momento storico particolarmente difficile. Gli eventi e l’informazione selvaggia legati alla geopolitica, ci stanno portando sempre più vicini all’orlo di un baratro, in attesa che un pifferaio magico ci faccia cadere in un mare di apatia.
Tornando a ‘Stop making noise’, le canzoni sono cariche, anzi sature, come le chitarre che le interpretano. Grida di dolore, che accompagnano la voce lamentosa e profonda di Enzo. E questo, durante l’ascolto, è una specie di mix che fa stringere i pugni. (Mauro Furlan)