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HATHORS  "When the sun is out, when skies are grey"
   (2024 )

Ebbene, lo confesso: al cospetto di “When the sun is out, when skies are grey” ho sbroccato come un bambino che si trovi in un negozio di giocattoli con un credito illimitato tra le mani.

Neanche fosse chissà che, ma santo cielo: poche cose, fatte bene, questo è quanto. Genere? Perdonate la vetusta semplificazione, desueta e superata da tempo: indie-rock in purezza, di quello da anni Novanta, ma con suoni più gonfi, meglio adatti ai tempi che corrono. Tempi nei quali di chitarre ce ne sono rimaste pochine, e allora in alto i cuori, evviva questo trio svizzero che butta lì trentadue minuti di pezzoni killer in quattro quarti, coi ritornelli che virano sul pop, il cantante che ogni tanto urla e si sgola cattivello, i chitarroni che si prendono la scena a botte di accordi minori, la sezione ritmica che martella senza sosta.

Gli Hathors sono Marc Bouffé (voce e chitarra), Sarah Zaugg (basso) e Dominique Destraz (batteria), giunti oggi su Noise Appeal Records al quinto album di una carriera solida e convinta, rafforzata in un decennio abbondante di attività live in giro per il mondo, incrollabilmente fiduciosi nei propri mezzi e nella bontà di una proposta che funziona sempre e comunque, a prescindere dalla tirannia dell’anagrafe.

C’è un’eco pesante del grunge che fu (“When The Sun Is Out”), con correzioni rumoristiche ed una verve inesauribile, ingredienti indispensabili per conferire all’album un tiro micidiale: i brani sono compatti, concisi, saturi e pestoni, lanciati talora a folle velocità (“Love Is Such A Feeling”), di rado placati in qualche oasi di effimera quiete soltanto transitoria (l’inizio soft di “Special Bird”, l’incipit incombente di “Sea Of Worries”, la conclusiva, inaspettatamente morbida “The Army Calls”), sporadicamente latori di sfumature emocore con accordature aperte ed intensi, palpitanti chorus (“When Skies Are Grey”, “A Land Of Dust And Stones”, quasi i Jimmy Eat World), più spesso incanalati verso efficaci mid-tempo di indubbio appeal.

Che richiami il pop-punk dei Blink182 o l’impeto frontale dei Bad Religion, siamo al cospetto di un piccolo grande disco che azzecca tutto, senza voler strafare: ha slancio ed ha la giusta cattiveria, ma ha anche una velata malinconia latente, uno spiccato senso della melodia, una esplicita urgenza di comunicare tutto e subito. (Manuel Maverna)