MAVERICK PERSONA "In the name of"
(2024 )
Sotto l’egida delle labels NOS records e MarraCult, arriva la seconda prova dei Maverick Persona, capitanati da Amerigo Verardi e Deje (Matteo D’Astore): un progetto del tutto particolare, che rilascia essenze intriganti di world, synthpop e fantasia a go-go, tramite 11 brani nei quali si possono trovare innumerevoli sorprese d’ascolto.
D’altra parte, le esperienze raccolte dal duo nell’underground sperimentale fanno sì che i dettagli assemblativi non siano lì, piazzati a caso ma, semmai, implementati con tocco autorevole. Perciò, quando ti cominci a fare un’idea sonora durante la tracklist, ecco che i due ragazzi sono pronti a smantellare presto ciò che si era ponderato, grazie ad un percorso che non abbraccia mai il consueto ed il banale, poggiando su un’imprevedibilità che sa di talento.
Si parte col mistico “Complete the risk” ma, come anzidetto sopra, ecco che cambiano le carte in tavola espellendo un’aere tonificante di ambient-jazz: e la sospensiva “Underworld conspiracy” è roba stregante, avvolta in un labirinto asfittico, come vissuto dal personaggio protagonista (un tipo francescano figlio di papà che rinnega tutta l’educazione impartitagli), in tutta l’avventura dell’opera.
Sferzate orientaleggianti si muovono nell’orbita cinematografica di “Bite for freedom”, mentre striature di alt-rap si registrano nella miscellanea di “Is it really al lover?”. Siete spiazzati, eh? Dite la verità! Non c’è da arrossire: mal comune mezzo gaudio. Anch’io, all’inizio, non sapevo dove mi portava l’ago della bussola uditiva ma, con altri repeat (vedrete!) tutto acquisirà tutt’altro sapore, arricchito di belle trovate.
I Maverick ci fanno poi correre con eleganza jazz nella dinamica “Where are you”, con un sax che deve fare gli straordinari con assoluta padronanza e dedizione. Invece, “Try to get the sun” è una botola sospesa: chi non ci casca, beh… peggio per lui, poiché si perde un turbinio di dolci incubi con impasto eclettico.
La grandiosa oniricità di “Dreaming Laurel Canyon” è rumore d’alto estro, come se un temporale minacciasse nembi fragorosi. Ma il protagonista torna ad intravedere finalmente il sereno con l’emollienza di “Turn on the good music, louder!”, tratteggiato con vociare di fanciulli gaudenti, in un clima di palese resurrezione, con un sole radioso, tempestivo e contagioso, parimenti a questo disco che alzerà ancor più l’asticella del prestigio “Nel nome di” Amerigo e Matteo. Prendete nota. (Max Casali)