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CREVE COEUR  "Catastrophes"
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Malsano e indisciplinato, compatto e nervoso, agitato da una ruvida veemenza che lo attanaglia e lo scuote incessantemente, “Catastrophes”, su etichetta Atypeek Music, segna il debutto della band francese Creve Coeur, di fatto un supergruppo composto da cinque preminenti personalità del sottobosco indie d’oltralpe.

Dal vocalist Corentin Sarkadi ai chitarristi Valère Brisard e Fabien Claes, fino alla martellante sezione ritmica costituita da Boris Patchinsky e Paul Void, i membri del progetto vantano trascorsi illustri in seno a svariate formazioni (cito almeno Lugosi, Blanc Dégoût, Enob), tutte orientate ad un ben preciso ambito stilistico: siamo in area noise, con la correzione di massicce iniezioni hardcore a rincarare la dose in quarantadue minuti fragorosi e congesti, un assalto a testa bassa ben memore dell’elettricità disturbata della Touch and Go dei tempi d’oro, reso ancora più impetuoso ed aggressivo dall’uso nei testi di un francese arrabbiato, focoso, sgolato.

Apre l’album la bordata sovraesposta di “Vertige Noir”, che mette in fila tutti i papabili crismi dell’humus di riferimento: riff pesante, approccio vocale diretto e frontale, insistite dissonanze albiniane, intrecci ondivaghi delle chitarre, inattese oasi di falsa requie à la Cloud Nothings e velocizzazioni spasmodiche definiscono i canoni del martirio sonoro a seguire, in un vortice di nevrosi assortite che confonde e ferisce.

A tratti, ad esempio nell’ingorgo saturo di “Courage”, pare di ascoltare una versione più sporca e corrotta - quasi un’estremizzazione dal taglio ferocemente negativo - dei meravigliosi Eiffel dei coniugi Humeau; vestigia dei Noir Desir più astratti si rinvengono invece nelle movenze instabili di “Faraday”, con divagazioni jazzy alternate a violentissime deflagrazioni; drumming impazzito, basso roboante e furia brutale intasano i sei minuti esplosivi di “Politique”, con teatrale inserto centrale recitativo ed outro incalzante sepolta sotto l’ennesima coltre di feedback ed urla belluine.

In un clima teso ed incombente, mai rasserenato o mitigato da concessione alcuna, la parossistica accelerazione di “Coup coup” funge da preludio ai nove minuti di “Mathématique”, inizio sornione e schegge free impro in devastante crescendo, tra drumming sciolto, grida sconvolte, controtempi insistiti, spoken word allucinato, fiati à la John Zorn e chiusura assordante.

E’ il degno suggello – forse il solo epilogo possibile - ad un disco frenetico ed esplicito, lavoro di rara irruenza ed altrettanto irato slancio, capace di stroncare sul nascere ogni esile speranza, soffocando in una nebulosa di rumore brado ogni timido spiraglio di luce. (Manuel Maverna)