recensioni dischi
   torna all'elenco


THE DAWN RAZOR  "In sublime presence"
   (2024 )

Apprezzo, ma avevo paura del contrario, che cioè la musica sarebbe stata accompagnata da una voce growl, invece la apprezzo così, grezza ma vera, appassionata, grintosa e guerriera. La sofferenza dell’animo anche nelle leggere velature dei ritornelli puliti.

Ma il growl mi assale nel secondo brano ''Refuse tomorrow''. Molto più frammentata, elaborata; un growl crudo. Il lavoro della chitarra è paurosamente speed e tecnico nei soli.

Scusate, sto parlando dei Dawn Razor, una band metal francese, di Parigi per l’esattezza. Creata nel 2016 da Sylvain Spanu, nel 2018 pubblica il primo album "Renaissances". La musica ha influenze death e black metal, anche se sono presenti qua e là, come contaminazione con altre linee rock, alcune parti melodiche.

Spanu si ispira, come dichiara apertamente, alle suggestioni artistiche della sottocorrente del romanticismo del Sublime, cioè di quel peculiare sentimento, misto di terrore e piacere, che ci assale quando ci troviamo al cospetto di qualcosa di eccelso e spettacolare che “innalza” l’animo dello spettatore.

Oggi la band ha tenuto concerti in diversi paesi come Germania, Belgio, Francia, Svizzera e Tunisia. In certi aspetti il moniker si avvicina più ad un black sinfonico, stile Morbid Angel che, ho la netta impressione (forse sbagliata), sembra scaturisca più da un progetto solista che non da una band.

Oltre al citato Spanu non ci è possibile scoprire se e quali sono i nomi degli altri componenti. Tra le canzoni che mi hanno colpito c’è ''The wooden Idol'', con un incedere più drammatico, e ''Fiery Dawn'', una battaglia tra “corpi speciali” dove proiettili ritmici frammentano le molecole dell’aria rendendola irrespirabile per la prima metà della canzone, per poi lasciar respirare con versi pesanti e che tuttavia non lasciano speranza, danno un sollievo momentaneo.

Il solo di chitarra è tra il melodico ed il tecnico, sempre azzeccato. Il growl è più pesante finché non ripartono i caricatori a raffica. Le chitarre sono ben curate, nette ed affilate come da genere, se ne ha un ottimo assaggio in ''The Lord and the crow'', resa tecnicamente piuttosto interessante, grazie ad un gioco su vari registri.

Indubbiamente siamo in presenza di un lavoro compositivo di rilievo ed esecutivo di pari livello. La voce, l’elemento umano che fa spesso la differenza nel contesto di una band, come dicevamo ha per la maggior parte un stile growl ma alla fine è chiaro e ascoltabile anche per i non addetti ai lavori. Mi ha colpito poi nel contesto dell’album ''Tropical survivor'', con un ritmo iniziale insolito nell’ambito di tutto il disco, quando altrove la batteria è una machine gun sempre al massimo dei colpi, ma dicevo appunto ''iniziale'' perché dalla metà in poi, a suggellare il micidiale assolo e la pressante ritmica, ritorna a “cantare la mitraglia” delle pelli.

''Untached Boundaries'' si apre con un bell’arpeggio pulito per dar seguito ad un processo prog che poi nel cantato va ad alternare melodia e growl. ''Pico da Nebina'' ha un bell’incedere acustico nel dialogo tra chitarra ed una melodia di violino perfetto per il titolo della montagna tra Brasile e Venezuela.

Seguono tre cover ed una versione italiana di ''Chiaroscuro italiano''. Sicuramente un disco per amanti del genere o per chi vuole assaggiare di tanto in tanto una musica estrema, ma variegata, pure nel suo ambito di appartenenza. (Johan De Pergy)