NAPSTAMIND "Nel giardino a vapore"
(2024 )
I tre componenti del gruppo rock romano Napstamind (Michele Cipollini – chitarra e voce; Lorenzo Colombo – basso e voce; Michelangelo Rupolo – batteria e voce) si sono formati artisticamente all’interno della scuola privata Saint Louis College of Music di Roma e hanno avuto la possibilità di registrare il disco “Nel giardino a vapore” (uscito il 7 ottobre 2024), nonché di esibirsi in un tour nella East Coast statunitense a partire dal 30 ottobre 2024, grazie a due bandi della SIAE e del Ministero della Cultura che il Saint Louis si è aggiudicato.
L’essere stati supportati dal punto di vista economico non esclude tuttavia la presenza del talento, della creatività e dell’impegno dei ragazzi, che hanno ideato e realizzato da soli la musica e i testi di tutti e 11 brani dell’album.
Lo strano e originale nome della band – come spiegato dai suoi membri – è il risultato della fusione tra Napstablook, un personaggio dei videogiochi amante della musica, e la parola inglese “mind” (“mente”) che dovrebbe richiamare l’attenzione sul “concetto di psichedelia e astrazione” a cui s’ispirano i loro brani.
La psichedelia è forse presente anche nel titolo del disco. Il giardino potrebbe far pensare alle piante dalle quali vengono estratte le sostanze con effetti psichedelici e il vapore può essere una metafora dell’offuscamento della percezione… ma non è detto che sia così.
“Cerchiamo inoltre di evocare immagini attraverso metafore, lasciando spazio all’interpretazione personale e l’immedesimazione dell’ascoltatore come mezzo attraverso cui scoprire meglio alcuni lati di sé”, svelano i ragazzi in un’intervista rilasciata per Sound36.
Con soli tre strumenti e con alcuni effetti di amplificazione e distorsione, i tre artisti riescono a riempire l’ambiente di suoni potenti e avvolgenti. Dopo aver ascoltato diversi brani di seguito, si nota – soprattutto da parte di chi è più sensibile – che ad un certo punto l’atmosfera diventa satura, forse troppo cupa e pesante, causando una sofferenza sensoriale indifferenziata, un “dolore”, e smettendo perciò di produrre sensazioni nuove e specifiche. Ma non è escluso che gli autori abbiano scelto consapevolmente di ottenere proprio questo risultato.
Gli stili musicali adottati variano molto da una canzone all’altra e anche durante una stessa canzone, poiché ogni brano ha una sua architettura complessa, però non manca la coerenza interna dell’insieme: influenze provenienti dal hard rock psichedelico anni ‘70 si uniscono a delle sonorità new wave e punk rock anni ‘90, dando nascita a un prodotto unico, dotato di vita e personalità proprie. Le melodie, pur toccando a volte l’assurdo e il grottesco, sono paradossalmente equilibrate e rimangono impresse nella memoria anche dopo aver finito di ascoltarle.
Il più melodioso sembra “Occhio storto”, che ricorda la musica britannica di band degli anni ‘90, come i Cure oppure gli U2. Piacevole l’effetto delle percussioni iniziali, che somiglia molto a quello prodotto dai timpani, anche se in realtà viene usata solo una moderna batteria.
Ma l’apparente “leggerezza” melodica viene compensata dai testi in gran parte nonsense, che ci mantengono immersi in una realtà errante e priva di riferimenti (simile, in un certo senso, a quella in cui si vive quotidianamente nel mondo di oggi) : “Butta giù e guarda indietro,/ Ha lasciato il gas acceso”; “Sono stanco, non ci riesco, sono stanco, ohohohoh/ Mi fa male la testa e ci sto provando, ma.../ Cresciuto a Roma, ma nato a Trevignano,/ Ti ascolterò per sentirmi cambiato”; “Sole, luna, voglio solo una faccia vissuta”; “Allo specchio sembro storto/ Cosa ci vedo in un morto?”; “Ti ho detto di aspettare,/ Per quel che mi costa,/ Non l’ho fatto apposta”.
Forse l’unica associazione di parole dalla quale si potrebbe ricavare un vero significato è “Ogni volta senza ricordarsi come si gioca con il fuoco”, facendo pensare al circolo vizioso delle relazioni amorose che feriscono e finiscono.
“Accada domani”, il brano d’apertura, pare che inizi in chiave soft con qualche eco dei Simple Minds, ma poi – man mano che si prosegue con l’ascolto – diventa sempre più acido e inquietante, sia musicalmente che per quanto riguarda le parole: i toni si fanno duri e ci viene presentata la realtà soggettiva dei “pensieri bui nella mente”, dove “l’asfalto è solo presente”, mentre la paura crescente la fa da padrona: “I miei occhi spalancati aspettano e temono te”.
Si aspetta e si teme anche la presenza di “lui”, che purtroppo è già qui, nel brano suggestivamente intitolato “Lui è qui”. È un punk rock molto cupo, in cui la malvagia creatura “ferisce accarezzandoti”, “ti uccide assecondandoti” e alla fine urla e ruggisce attraverso la voce del solista vocale di turno, ricordandoci la natura animale dell’essere umano. Una metafora, questa, del male e del brutto, che forse ha la funzione di esorcizzare la parte meno amata di noi stessi.
I testi di diverse canzoni dell’album, nonostante la loro incoerenza di fondo, si attengono comunque in modo sottile all’idea presente nel titolo del disco: “Maybee”, “Rovi”, “Alberello”, “Torna” e “Nessuno resterà” fanno tutte riferimento a elementi della natura, a un indefinito giardino che fa da cornice al sentimento amoroso (vissuto soprattutto in assenza della persona amata).
“Maybee” comincia con dei versi pieni di tenerezza (“Se non dormirai, io ti cullerò/ Se piangerai, io ti bacerò/ Se parlerai, io ti ascolterò”… “Adesso dove sei?/ Cerco te dentro me”) che contrastano con i ruggiti che sentiamo in “Lui è qui” e in altre, dimostrando così la versatilità artistica della band. È molto interessante il gioco linguistico in lingua inglese presente nel titolo: “maybe” scritto con una sola “e” significa “probabilmente”, quindi potrebbe esprimere la speranza che la persona amata ritorni... ma se lo scriviamo con doppia “e”, lo vediamo come fusione tra “May” (il mese di maggio) e “bee” (ape), quindi fa pensare a un giardino primaverile in cui cominciano a ronzare le api. Infatti, anche nel ritornello viene detto: “… ha un doppio senso ormai il tuo nome”.
“Rovi” è una psycho ballad il cui inizio chitarristico ricorda molto le sonorità di Jimmy Page dei Led Zeppelin, dopodiché – proprio come in “Accada domani” – l’atmosfera si trasforma e diventa sempre più dura e più punk. È chiara l’immagine di un giardino in cui il protagonista è seduto “sotto la quercia, chiuso come una chiocciola”. Bello l’effetto dell’allitterazione “rovi”, “rose”, “rosso” presente nel ritornello, e tristemente il rosso simboleggia il sangue che se ne va dal corpo (“Dal tuo petto scorre sangue”, viene detto in una delle strofe). Alla fine si afferma che “senza di te brucerò lo stesso” e che addirittura tutto brucerà: “Vedo ombre che si schiantano tra le fiamme/ E non rimarrà più niente”.
L’idea della distruzione totale si evince anche dal titolo del brano “Nessuno resterà”, che racconta l’allontanamento inspiegabile di un amore (“Se sei con me, come me,/ Allora perché…?”). Anche qui è presente la natura, attraverso l’immagine delle piante distrutte dall’asfalto, proprio come l’anima è distrutta dal dolore (“L’asfalto lacera le piante mai rimaste mie”). Il brano si conclude con un bel assolo di chitarra, in cui spicca la virtuosità di Michele Cipollini.
Una bellissima parte di chitarra, che ricorda molto gli U2, si trova anche alla fine della canzone “Senza saperlo”, dedicata anch’essa a un amore perduto: il ritornello “Ci siamo odiati senza nemmeno volerlo/ Ci siamo amati senza nemmeno saperlo” viene cantato con una voce che in apparenza sembra brutta (correndo il rischio che la persona amata si allontani ancora di più anziché ritornare!), ma che in realtà potrebbe essere un’espressione della sofferenza.
Ricordi delle sonorità della chitarra di The Edge visitano la memoria dell’ascoltatore pure nel brano intitolato “Alberello”, canzone piuttosto delicata, che parla del desiderio di coprire la città con “un telo nato dalla tua libertà”, del “trovare una fantasia come dono” e dello “stare solo noi due qua sotto ad un ombrello”, mentre “tutto il resto scivolerà”.
L’autore del testo, “accecato di nuovo” dall’amore e dal desiderio, vuole che la persona amata torni ed esprime questa sua volontà come un triste imperativo nel brano “Torna”: “Torna/ Anche se non t’importa,/ Non chiudere questa porta”. Al primo ascolto, la rima “importa” - “porta” tende a provocare ilarità e a sembrare buttata lì, giusto per la necessità di far rimare… Ma se ci riflettiamo attentamente, la porta che rimane aperta può essere una metafora per riferirsi al contatto tra le persone. Anche qui la natura accompagna e potenzia gli stati d’animo: “Ombra, tra le fronde si scontra/ Tra le mura rimbomba”… “Non senti il vento?”… “Rendi queste nuvole dense”.
Un brano particolare e interessante è “Non me lo spiego”. La canzone richiama l’attenzione verso un problema di attualità della vita quotidiana: il non riuscire a dare il giusto valore al poco tempo che abbiamo a disposizione per vivere. La musica ricorda vagamente i twist degli anni ‘60, fa tornare nella memoria delle tracce di “Baby, you can drive my car” dei Beatles, e non mancano i momenti di distorsione sonora tipici delle musiche psichedeliche. È bello il ticchettio dell’orologio (espresso proprio con un’esclamazione tipo “tic-tic-tic-toc”) coordinato al ritmo della musica, andando a braccetto con le parole riguardanti il passare del tempo: “… il vecchio con l’occhio di vetro/ Il suo momento sembra già arrivato”; “Faresti meglio a non perdere tempo”; “Un solo uomo non può fare tutto questo”; “Dalle onde del tempo – non me lo spiego – io mi sento sommerso”.
In sintesi, “Nel giardino a vapore” dei Napstamind è un lavoro complesso e piuttosto strano, difficile da conoscere solo attraverso la lettura di una recensione. Soltanto ascoltandolo di persona lo si può inquadrare, in base all’esperienza pregressa di ogni ascoltatore e alla percezione individuale. Buon ascolto! (Magda Vasilescu)