recensioni dischi
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BRAT  "L'estate eterna"
   (2024 )

Questo disco si misura sulla lunga distanza: è un motore diesel, un ordigno a scoppio ritardato, un farmaco a rilascio lento. Sornione e falsamente pacato, impiega il tempo necessario ad insinuarsi sottopelle, raggiunge il bersaglio senza fretta, colpisce con gradualità.

Chitarrista di trentennale esperienza, cantautore insolito per modi e stile, Federico Bratovich, in arte Brat, milanese classe ’72, è artista poliedrico, al rientro come solista a sei anni dal debutto di “Last Exit To Freedom”.

Interamente suonato con Flavio Ferri dei Delta V, qui anche nel ruolo di produttore, “L’estate eterna”, su etichetta SBAM/Materiali Sonori, offre dieci tracce all’insegna di un art-pop compìto, che ben volentieri vira verso una psichedelia misurata, infida e suadente. Brani affatto immediati disegnano atmosfere sospese ed intime, intense ma compresse, quasi trattenute per accrescerne il pathos: canzoni ragionate che recano in sé una tensione raramente rilasciata, accresciuta da progressioni di accordi non scontate né prevedibili. Il sound è ovattato, il passo rallentato, il mood riflessivo. Appena incombente, non opprimente: meditativo, piuttosto.

Tra vestigia dei Litfiba antichi, sfumature che ricordano i P.A.S.E., screzi e dilatazioni memori degli Scisma, a prevalere è comunque l’afflato melodico, unito ad una singolare costruzione dei pezzi, che mai deflagrano, implodendo su se stessi: né il feedback sul finale di “Come un sogno pt 2”, né il martellamento che satura la coda della cupa “Come un sogno pt 3” mutano il quadro generale, che rimane ipnotico ed insinuante, aperto a svariate soluzioni. Arpeggio elettrico e percussioni introducono l’ampia armonia di “Impercettibile”; scorre pigra e indolente “Un altro giorno”, guidata da una preziosa linea di basso; sorprende la centrata cover di “Sono io” di Daniele Silvestri; lievita melliflua la ballata à la Baustelle di “L’unica ragione”; muovono in sinuoso, moderato crescendo i nove minuti de “Il grande silenzio”; chiude la title-track con echi dissonanti, rigonfia di synth e graffiata dalla chitarra, quasi prog nella parte centrale e nell’ampia outro strumentale, epilogo che definisce e riassume tempi e cadenze di un lavoro mirabilmente cesellato, in bilico tra tentazioni sottilmente retrò ed una personale reinterpretazione dell’immortale wave che fu. (Manuel Maverna)