UBRIS "Ongonga"
(2024 )
Piante. Piante ovunque. E non piante a caso. Leggendo i titoli delle canzoni del nuovo lavoro degli Ubris, mi faccio una cultura botanica... allucinogena. La stoner band padovana ritorna in forma, con l'album “Ongonga”, uscito per Deep Sound Records, registrato al Babunker Studio e masterizzato all'Outside Inside Studio.
“Ongonga” propone la formula consolidata, fatta di riff pesanti dal sound graffiante quanto flemmatico. “Yopo” è in 3/4, tempo poco usuale, mentre “Kukuta” (cicuta in ungherese) si trascina su un tempo lento, da doom, che fa apprezzare ogni sbavatura della distorsione, e nel finale rallenta ancora! Fino a chiudersi sui feedback di chitarra dilatati.
Cappottati come siamo ora, il tempo più veloce di “Strychnos nux vomica” (cioè stricnina), la fa sembrare una canzone poderosa. Ben presto anche questo pezzo si vedrà i battiti dimezzati, per tornare in quella familiare forma ondeggiante. Non ci sono voci: gli Ubris fanno strumentale, così l'attenzione degli ascoltatori è tutta rivolta al sound.
“Atropo” è il nome di una delle moire, o parche, ma anche il nome della belladonna. Il brano è tra i più cupi del disco, con un arpeggio di chitarra in tonalità minore che poi nel refrain diventa maggiore, ma non perde il suo carattere sperduto, mentre il basso, dal timbro sempre effettato, assieme alla batteria ci spintonano in un ipotetico pogo al rallentatore.
“Spartium junceum” è un minuto di solo basso distorto, che fa da apertura a “Stramonium”, lo stramonio, citato spesso nella letteratura a tema stregonesco, che è l'ultima energica sberla del disco, sempre lanciata con estrema calma, assieme alla forza. Bentornati, superbi! (Gilberto Ongaro)