COLDPLAY "Moon music"
(2024 )
Lo stile è sempre quello. Ma il mondo no, purtroppo. Le note alla fine sono sette, le possibilità combinatorie ampie ma non inesauribili. "Non vedi che è un vero affare / non perdere l'occasione": nessuno mi toglierà dalla testa che "Il gatto e la volpe" di Bennato si possa arrangiare anche sulla scia della melodia di "Viva la vida". Provare per credere, come diceva una vecchia pubblicità.
Del resto un furbone come John Williams ha costruito la carriera a prendere qua e là dal repertorio altrui. Questo significa forse che una delle band più osannate del pianeta sia un collettivo di plagiari? No, certo, anche se il motivetto di "IAAM" sembra tanto già sentito, ma occorre andare oltre i pregiudizi.
E allora facciamo uno sforzo e immergiamoci senza filtro in questo nuovo lavoro dei Coldplay, accompagnato da un omaggio alle ossessioni green, da un battage promozionale che lo vuole l'album meno inquinante del pianeta (cd realizzato con plastica riciclata), sulla scia di quanto fecero i Radiohead di cui, mi si permetta di dire, la band di Chris Martin è nella storia del rock (nonostante le ambizioni di essere quello che un tempo furono gli U2, "La migliore del pianeta") solo una pallida fotocopia come i Muse. Mille volte meglio Rino Gaetano e Ivan Graziani per rimanere alla produzione italica.
Questione di gusti? Imho, naturalmente. "One world" inizia con cinguettii di uccelli come in "Grandchester meadows" dei Floyd psichedelici di "Ummagumma", per poi planare verso un mondialismo sonoro alla "Incontri ravvicinati del terzo tipo", ma qui siamo letteralmente in un altro mondo rispetto ai Floyd.
Qui e in generale nel mondo coldpleiano siamo, ed è considerato il tempo cupo che viviamo, per qualcuno sicuramente un pregio, nel regno della semplicità fatta sistema, della rarefazione dei concetti che a volte diventa rischio di sbadiglio per eccesso di buonismo, di ottimismo, di sorriso, di good feelings, come tendere le labbra alla gioia mentre un drone di Putin o un missile di Hamas o una pec dell'agenzia delle entrate ti bussa alla porta.
Fregandosene altamente del dolore del mondo, della parte oscura che sostanzia l'universo psichico, Martin con i suoi vocalizzi (vedi "feellikeimfallinginlove") è il figo che vorresti essere e mai sarai, il fidanzato ideale che piace alle madri e forse anche ai papà segretamente bisex, il dottore di "Lost" che guarisce tutte le storte.
Ma la ricetta del buonismo un po' new age un po' funky, con strizzatina di occhi e orecchie al mondo Lgbtq+ con tanto di arcobalenino in copertina per non scontentare nessuno (poteva fare un duetto con Greta Thunberg, ricordo che Laurie Anderson ne ha fatto uno con William Burroughs 40 anni fa), insomma la ricetta che sa di vecchio è scaduta, andava bene negli anni Novanta o nei primi duemila, ora sa francamente di muffa vista la tanta acqua passata sotto i ponti (e cito solo "Kid A" giusto per capirci). E nonostante gli sforzi per portare avanti il discorso a livello di produzione con iniezioni di contemporaneità (''We pray'').
Disco furbetto, alla fine dell'ascolto, conferma di cui non si sentiva la mancanza in puro stile Coldplay, certo di pronta beva e digeribile senza rischio di mappazze, sicuramente anche ballabile negli stadi. Ma nonostante gli sforzi nulla più. Imho, prima che frotte di coldplaiani mi taglino le gomme della macchina, vado a mettere su un disco dell'Orchestra Baobab come antidoto e ballare con qualcosa di buono. Voto 6 meno meno, a essere buonisti. (Lorenzo Morandotti)