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LIBERSKI-YOSHIDA  "水、滾る [Mizu, tagiru]"
   (2024 )

Già leggere “recommended by John Zorn” è una spia, un suggerimento che fa intuire cosa andremo ad ascoltare. Il titolo in ideogrammi geolocalizza l'album. Lo storico batterista giapponese Tatsuya Yoshida, già fondatore della prog band Ruins e noto nell'ambiente avant-garde del Sol Levante, incontra il pianista e compositore belga Casimir Liberski, anch'egli affermato nel suo Paese. Il duo Liberski-Yoshida dà vita ad una caotica situazione che pure il comunicato stampa fa fatica a descrivere. Vi copio direttamente cosa ci hanno scritto: “Brutal progressive math punk, contemporary free jazz and electro-acoustic experimental”.

Tutte le hanno scritte! Osserviamole, queste parole: progressive e punk, che negli anni '80 si consideravano in antitesi (fino all'arrivo dei leggendari Cardiacs), qui vengono alternate da “brutal” e “math”. Matematica e brutale. “Contemporary free jazz”, che è la versione estremizzata dell'approccio diffuso da Coleman. E infine “experimental”, parola jolly che vuol dire tutto e niente. Meglio ascoltare e andare per metafore, onde evitare di sprofondare nell'antilingua, quella temuta da Italo Calvino.

“Gyres” è un uragano. “Murky Bay” è uno sfacelo. “Beauty” è un'oasi di ossigeno in mezzo alle montagne nere delle discariche. “Horror” è una progressiva e inesorabile caduta in un precipizio al rallentatore nelle prime fasi, finché ci si accorge di cadere e parte l'ansia. Il tutto sostenuto con indubbia perizia tecnica. Non sono semplicemente cluster, cioè sberle sul pianoforte e sui fusti della batteria: nell'improvvisazione, anche quando rumorosa, c'è sempre virtuosismo e precisione. A metà brano la caduta finisce, e siamo immersi in un'atmosfera à la Silent Hill, statica ma nebbiosa, con la paura che compaiano mostri dalla coltre. L'ipotetico protagonista ad un certo punto si fa forza nella solitudine, e il duo parte in un ritmo rapido ma ben definito, rispetto alla precedente fase “amorfa”, fino alla catarsi sonora.

“Tsuruoka” parte con dei curiosi passi in staccato sul pianoforte, che ricordano certa letteratura musicale russa. Poi la direzione cambia totalmente su una scala blues occidentale. Ma ovviamente la struttura non è un prevedibile 6/8. Yoshida corre in 4/4, ammiccando ai ritmi da drum'n'bass. Le improvvisazioni cambiano continuamente stile, e pianoforte e batteria si inseguono, assecondando ognuno le fantasie dell'altro. Quando sembra che il musicista sia uno solo, con quattro braccia, vuol dire che la complicità è totale. E infine, “Pollution” non è una cover di Franco Battiato, ma l'ultimo scattante capitolo di questi sei pezzi di “Mizu, Tagiru”, uscito per Totalism Records. Il termine “Tagiru” indica qualcosa come il bollire, l'acqua surriscaldata che si agita. E forse, è più semplice dire che questa è musica bollente, piuttosto che brutal free math prog punk jazz elettroacustico sperimentale! (Gilberto Ongaro)