WE FOG "Sequence"
(2024 )
Quando, tra una uscita e l’altra, passano anni, ho sempre constatato come la causa principale sia quella di aver fatto maturare una potenziale evoluzione nel sound, che si tratti di solista o di band.
Anche in questo caso, ciò è accaduto alla band veronese (ma di stanza a Milano) dei We Fog che, grazie al supporto esperto del producer Amaury Cambuzat (già con gli Ulan Bator e molti altri) riesce nell’intento di fornire alla loro musica quello spessore in più che latitava nel precedente debut-album “Float” di 7 anni fa.
Oggi, arrivati alla seconda prova con i 7 brani di “Sequence”, i ragazzi sanno ostentare quadratura e sicurezza esecutiva, come già dimostra la robustezza dell’opener “A father’s love” e la snellezza noisy-punk di “Rise to the sky”, mentre con qualche fraseggio chitarristico sulla scia dei Cure, azzannano l’orecchio con piglio mordace nel dispotico spoken-word di “Kind warrior”.
Ma, a loro, basta semplicemente notare un cartello di un pescivendolo a New York per scodellare la stramberia ossessiva di “Meat without feet”. Quindi (l’avrete capito, no?) la fantasia scorre nelle vene dei brani, in particolar modo sotto gli “alberi” della traccia n.5, dove cala l’ombrosità distorta di “Trees”, come fosse un mantra liberatorio di un “io” che condiziona, non poco, le dinamiche dell’amore: tema praticamente trattato lungo tutto il percorso di “Sequence”.
Prima o poi era inevitabile che i We Fog si dovessero "dare una calmata" con la noisy-ballad di “No land for hope”, nella quale presenzia il feat. del succitato producer Amaury Cambuzat, attivo anche nei palestrati 150 secondi finali di “Timex”.
Wow! Che viaggio! Che impatto! Forte ma non duro, coriaceo ma non testardo, deciso ma non autoritario. Insomma, quel giusto equilibrio che serve ai We Fog per firmare un disco secondo... a nessuno! (Max Casali)