recensioni dischi
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LINDA COLLINS  "Choices"
   (2024 )

Strana creatura, i Linda Collins. Estrosa, inafferrabile, camaleontica.

Costruita attorno ai tre numi tutelari Alberto Garbero, Massimiliano Esposito e Vincenzo Morreale, è una sorta di collettivo che vede riuniti artisti nostrani di indubbia qualità ed indiscusso valore. A tre anni dal fulgido esordio di “Tied”, la formula resta invariata: cambiano alcuni attori, con il determinante ingresso nel roster di Benedetta Sotgiu e la conferma di Federico Babbo (Jackeyed), Michele Sarda (Neverwhere) e Ramon Moro.

Rispetto a “Tied”, l’approccio resta sostanzialmente immutato, elegante amalgama di elettronica garbata e suggestioni post-rock ben mascherate; pubblicato per Urtovox, “Choices” offre dieci tracce segnate da una virata – affatto brusca né spiazzante - verso atmosfere maggiormente concilianti, figlie di una scrittura più accomodante, in gran parte priva delle asperità che caratterizzavano con forza il debutto.

L’apporto delle diverse voci chiamate ad interpretare i brani è decisivo nel conferire loro sfumature e mood peculiari: così, il timbro limpido e cristallino di Benedetta ammanta “Lonely Planet”, “Black Roses”, “Kingdom” e soprattutto il singolo “Sunbeams” di una fascinosa aura notturna, sospesa tra lounge, soul e trip-hop, qualcosa tra Portishead, Morcheeba, Massive Attack ed echi dub; il crooning intenso di Neverwhere riveste sia la già citata “Black Roses” sia la mesta, sfuggente linea melodica di “Weapons” di una patina oscura che ricorda i Depeche Mode più introspettivi; l’imprevedibile versatilità di Jackeyed lo conduce dai meandri motorik di “All my world is around you” ai graffi elettrici del saliscendi emozionale di “A second life”, dal folk scarno e dimesso per chitarra acustica di “A promise” fino alla soave delicatezza della title-track, soffusa e melanconica quanto basta a definire i contorni di questa musica che vibra gentile, in costante divenire.

In chiusura, serpeggia in tutta la sua scarna desolazione il minimalismo afflitto di “Black Roses #2”, numero da teatro decadente affidato ancora a Jackeyed, aria dimessa venata da una tristesse toccante che risuona avulsa dal quadro generale e sottilmente beffarda, quasi ad indicare da lontano la destinazione, o soltanto la prossima evoluzione: about the future we were scared/of saying few last words my memories left/the same as usual, light years away. (Manuel Maverna)