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ROBERTO DEL PIANO  "Saluti da casa 2 (Ho dato il mio sangue alla musica)"
   (2024 )

“Quando non sai cos'è, allora è jazz!”. Questa è una frase ricorrente nel racconto “Novecento” di Alessandro Baricco, noto ai più per la trasposizione cinematografica di Tornatore “La leggenda del pianista sull'oceano”. Ed è una battuta che calza a pennello con la musica di Roberto Del Piano. Bassista di lunga carriera, iniziata nel 1968, e proseguita negli anni '70 sperimentando, accogliendo anche influenze avant-guarde ed elettroniche, arrivando ad una musica anarchica e tanto libera quanto sfuggente.

Uscito per l'etichetta Materiali Sonori di Arlo Bigazzi, che spesso recupera (e così tutela e valorizza) musiche del Novecento con approccio quasi archeologico, “Saluti da casa 2 (Ho dato il mio sangue alla musica)” è la seconda parte di una raccolta di esibizioni di Roberto Del Piano, provenienti dalla sua pluriennale carriera. Alternate a brani incisi professionalmente, ci sono anche registrazioni casalinghe, che non fanno nulla per nasconderlo. A mio avviso, questa bassa fedeltà è affascinante. Mi ricorda quella scelta di DeaR, alias Davide Riccio, cantautore di Torino dalla voce vellutata come quella di David Sylvian, che negli anni '80 ha creato tantissime musiche in casa rimaste nei cassetti, che adesso ha riaperto e un po' alla volta pubblica tutto, lasciando intatti i suoni “da demo” così come sono.

Qui il discorso dei suoni è diverso, perché si tratta di musicisti che suonano dal vivo, piuttosto che un cantautore da solo con la sua workstation. Si sente che Del Piano al basso e al contrabbasso è il perno a cui ruotano le musiche, ma si notano anche i giochi della chitarra e dei fiati. “Lodigiani quasi DOC” dimostra un'affinità strepitosa, riuscendo la band ad improvvisare anche nelle pause, ripartendo tutti insieme. C'è un video su YouTube, dove vedevo dei musicisti africani riuscire a fare questo ad occhi chiusi, senza comunicarsi, senza metronomi, e nei commenti ho chiesto come ci riuscivano. Uno mi rispose: “Quantum entanglement, my friend!”. Anche qui si percepisce un'alchimia simile, nonostante il caos creato dal free jazz.

Il disco si apre scherzando, con una chiacchierata tra amici che ridono. Poi parte una fisarmonica solista, che ammicca ad un valzer da liscio, e qualcuno, come dice il titolo, dice: “Bravi!”. Poi in “AMARC”, un sassofono improvvisa sopra dei tremolanti accordi di vibrafono. “Ballad for a murdered student” invece è un canonico jazz con walking bass, swing, e accordi cool di pianoforte. Il basso elettrico, assieme ad un violino impazzito, si mangiano l'attenzione in “DoDeMo”. La voce urla forte nel breve “La notte delle leggende”, mentre in “Cetaceo” è un trombone ad “urlare”: sembra essere lui ad imitare il cetaceo.

I dieci minuti di “The little rabbit Poldo ramifications” è esilarante e/o grottesca: un tema viene suonato da un suono 8bit da videogioco, doppiato goffamente da una tromba, quasi a fargli il verso. Poi parte il contrabbasso che ci introduce nella fase jazz del brano, partendo però da quel tema. La voce inizia a lamentarsi di una signora col cane che ca*a, e lui dev'essere però un vecchio vagabondo: “Non si spezza il cuoricino di un anziano. Sul mio triciclo raccatto cartoni per le vie (…) vorrei tanto sputarti in fronte, ma sbavo soltanto”.

“A Jackson in your house” unisce un tema da marcia con dissonanze e virate noise dei fiati, che poi hanno libero sfogo sopra l'assolo di batteria. La fisarmonica torna sghemba in “Ciccio & Nicola”, in duo col contrabbasso, con esito straniante. Infine “Laura” sembra creata con dei rumori di giocattoli, e fischi di peluche di plastica. Parte un coro maschile volutamente stonato e ubriaco, che canta: “Oh Laura, misteriosa e dolcissima (...)”. Pensi: ma ci sono o ci fanno? Ci fanno, ci fanno. Il disco finisce ridacchiando: “Versione più sgangherata di questa...”.

Un disco dove il caos del free dimostra che la ricerca musicale può fare anche ridere, non serve assumere atteggiamenti snob. Ha dato il sangue alla musica, ma Roberto Del Piano si diverte da più di 50 anni, e così i musicisti con lui, e il pubblico. Meglio di così! (Gilberto Ongaro)