BORIS ĆEVAPČIĆI "Per amore o per mancanza di idee migliori (parte 1)"
(2024 )
Toh, leggi un nome come Boris Ćevapčići, e pensi chissà che artista serbo abbiamo in... serbo. Invece poi scopri che è il nome d'arte di un italianissimo Paolo Prosperini. Bolognese. Per l'etichetta Brutture Moderne, esordisce con un EP che in realtà è un mezzo LP, intitolato: “Per amore o per mancanza di idee migliori (parte 1)”. La parte 2 è prevista per il 2025.
Ćevapčići dichiara come influenze Vinicio Capossela, Rodrigo Amarante, Calexico e Hermanos Gutiérrez. A parte Vinicio, c'è molta America Latina recente. A ben vedere, questo percorso lo ha portato paradossalmente (o consapevolmente) a tornare sui passi dei primi cantautori italiani, a cavallo tra gli anni '50 e '60. In quegli anni, nel Bel Paese prendevano piede ritmi come tango, rumba e soprattutto beguine. La beguine, di origine caraibica, in pochi anni è diventata lo spunto per stilizzare un ritmo ormai divenuto del tutto italiano; per fare un esempio, “Legata ad un granello di sabbia” di Fidenco, ha un ritmo che proviene da lì.
Nel solco di questa tradizione, Ćevapčići ci porta così un sound che a noi suona piacevolmente vintage. L'esempio simile più recente che mi viene in mente è “Passione” di Neffa. Boris ci racconta una storia d'amore, diffusa in queste cinque canzoni condite da chitarre con riverbero, organo Hammond, contrabbasso e percussioni, e sembra di poter vedere Marcello Mastroianni interpretare il protagonista disperato, perso nei propri sentimenti, mentre un'inafferrabile Monica Vitti resta di spalle, confusa e tremolante (come sempre).
Non solo il sound, anche le soluzioni compositive richiamano i tempi del boom economico. Il ritornello di “Marabout” ha la voce armonizzata, mentre si racconta di una relazione che sembra nata per errore: “La luce che fai, ha legato i miei occhi, che cercavano altro, di diverso da noi (…) che rimanga tra noi stretto tra i nostri lacci. Tutti questi 'se vuoi', 'se puoi', detti fino a obbligarmi. Ma non chiedere nulla di diverso da noi, sortilegio che fai sembrare amore agli altri”. Senza scomodare Luigi Tenco o Sergio Endrigo, questo disincanto ricorda un po' lo sguardo realista che cercavano i primi cantautori, scevro da idealizzazioni.
Però la realtà del sentimento che va scemando fa paura, e così: “Vorrei si riaccendesse la luce senza spegnerla mai, ma forse è così che deve iniziare e finire”, canta Ćevapčići in “Nel buio”. La conclusione è brutale: “E il compromesso è forse un figlio o forse una puttana. Teniamo le luci spente finché il buio ci conviene”. La stanchezza della relazione procede nella titletrack, dove il protagonista lamenta che a trent'anni non si gode più come a venti, e nel frattempo il ritmo diventa una bossa nova. Nulla più sorprende: “Con queste ferie obbligate, queste amanti disegnate, gusto non ne trovo più (…) voglio un mignotto dozzinale, una musa fatta male, e un finale che già so”.
Questa disillusione sembra lasciare spazio a un nuovo entusiasmo che fa pulsare il cuore (grazie Battiato per darmi sempre le parole giuste). Infatti “Piccolissima”, brano quasi del tutto strumentale, tranne che per le parole “Piccolissima sei rimasta, piccolissima resti per me”, ospita un quartetto d'archi, protagonista assoluto della canzone, raggiunto poi dai suoni anni '50. Ma questo nuovo slancio finirà in bianco nell'ultima canzone, per colpa dell'alitosi, anzi, dell'“Allie Tosy”. Se il testo inizia volutamente con un'abitudine stilistica vecchia, quella di tagliar le ultime lettere delle parole per dar una sembianza di poesia (“Io t'abbraccio sotto il ciel che uccide il buio, e le mie labbra sono pronte a saper di te”), la canzone invece si chiude grottescamente con una bestemmia creativa.
Con mezzo album, Ćevapčići mostra molte sfaccettature, una ricerca sonora precisa, e una personalità che può passare dall'amaro realista allo spigoloso sarcastico. Aspettiamo il secondo tempo per vedere come finisce questa storia... Magari Monica Vitti finalmente si gira e risponde! (Gilberto Ongaro)