recensioni dischi
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DEREK PIOTR  "Divine supplication"
   (2024 )

Il nuovo lavoro di Derek Piotr, Divine Supplication, uscito per DPSR Records, è un’opera intima dietro la cui genesi stanno dolori e tragedie personali che, facendosi musica, si tramutano e si strutturano in un disco che celebra la vita e le sue assurde e ossimoriche manifestazioni.

Divine Supplication è quello che il titolo vorrebbe sin da subito creare nella mente dell’ascoltatore. È un progetto versatile e approfondito, un’introspezione sonica che unisce le tante passioni di Piotr, dalle ricerche archivistiche nella folk music alle derive elettroniche che caratterizzano molta della sua produzione recente e non, il tutto unito al sampling di alcune canzoni che lo hanno accompagnato in uno degli anni più difficili della sua vita. Si tratta di un disco dove i tanti percorsi da lui attraversati provano ad amalgamarsi, così come le influenze di alcuni artisti a lui più o meno vicini emergono qua e là, in un sottile fil rouge che prova a tenere insieme tutto. Basti pensare alla traccia che dà il titolo al disco, una danza chimerica che prende le mosse da un brano di My Brightest Diamond, o la stratificata “Perfect Matrimony”, che parte dal sample di un brano registrato da Piotr nel 2007, al quale collaborano Fennesz e Reuben Walton.

Questo senso di fioritura sonora esplode un po’ ovunque nel disco. In “I Bowed” compare l’ensemble originale che Olivier Alary utilizzò per il remix di Vespertine di Björk più di venti anni fa. Alary stesso compare in “Falling Away”, dove il clarinetto di Ivan Cheng sembra frammentarsi in un puzzle intricato ed enigmatico. Il dolore non si impone mai come necessaria e insolubile tragedia: esso viene declinato in molte delle sue forme, contornato dalle possibili speranze che possono contribuire, pian piano, ad alleviarlo. La tristezza che permea il progetto non è mai un vicolo buio dal quale sembra impossibile uscire.

Il brano che conclude il disco, “A Not-Quite Locked Door”, scritta insieme a Lately Kind of Yeah, diventa uno spazio per meditare sulle tragiche fotografie che Divine Supplication ci lascia senza essere mai, al tempo stesso, una alienante fuga dalla realtà e dai suoi drammi. Una leggera nebbia shoegaze pare alzarsi davanti ai nostri volti un po’ scossi ma non per questo affranti. A impreziosire il pezzo è la batteria di Brian Chippendale, che contribuisce a creare quest’atmosfera polverosa e incantata. Divine Supplication non è certo un porto sicuro, anzi; è un luogo, però, dove Piotr prova a sussurrarci che il dolore può per un attimo essere razionalizzato, ascoltato e forse addirittura, a un certo punto, allontanato. (Samuele Conficoni)