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LAURENT PERNICE, JACQUES BARBERI & DOMINIQUE BEVEN  "Nine tales of the winds"
   (2024 )

Gli strumenti a fiato in inglese si chiamano “winds”, ed è una definizione più calzante: come dire strumenti a vento. Del resto, gli aerofoni sono quelli che più danno l'idea dell'onda sonora invisibile, che prende forma con un soffio. Sarà per questo fascino, che molti strumenti musicali usati a scopo mistico o religioso, sono fiati. La possibilità di fare un suono prolungato ricorda il continuum spazio temporale in cui in realtà ci troviamo, a differenza dei suoni secchi delle percussioni, che tramite i ritmi danno l'illusione di un prima e un dopo.

Uscito per Psychofon Records, “Nine tales of the winds” raccoglie nove brani creati quasi esclusivamente con strumenti a fiato, al netto dell'elettronica che qua e là interviene, come quello nel “sax OGM”. Gli artisti francesi che compiono questo esperimento sono tre: Laurent Pernice, Jacques Barbéri e Dominique Beven. Tutti suonano strumenti a fiato, Pernice è colui che in più amministra l'elettronica: programma alcuni ritmi e soprattutto elabora i suoni.

Leggendo gli strumenti dichiarati nel comunicato, se ne trovano tanti e provenienti da diverse culture, ma poi all'ascolto è difficile riconoscerli, a causa delle trasformazioni elettroniche. Siamo dissuasi dal tentare di distinguere l'hulusi cinese, le launeddas sarde, il cromorne francese, il radong tibetano, la gralla catalana, l'ocarina, il sax OGM... Siamo invece invitati a contemplare il suono complessivo, delle onde che si infrangono sulle nostre orecchie, a volte lisce, a volte ronzanti, ma sempre rotonde.

“Le Silence la nuit” avvia l'album con un beat elettronico che trasporta i fiati, ma è solo l'inizio: non tutte le musiche saranno così. Infatti, con “Ghost mountains” la situazione si stabilizza subito, in bordoni statici e stabili. Se gli strumenti sono modificati, un indizio della presenza delle launeddas arriva dal terzo titolo: “Sardanapale”. Un altro vento imponente arriva da “Après le feu, tout resplendit”.

Dentro “Zombie” c'è una parentesi esplicitamente elettronica, ma anche lì il suono risulta rotondo: sembra si formi un tunnel, un wormhole nel quale procediamo senza fretta, incontrando qua e là segnali energetici che fan pensare a forme geometriche fluttuanti che sorpassiamo. Un trip! Dopodiché, “Voice of Canopee” sbriciola le emissioni dello strumento a fiato, riducendole a impulsi brevissimi e moltiplicandole in un cicaleccio rimbalzante, come una strana fauna di insetti.

Fin qui, le tracce durano dai 2 ai 7 minuti. Ma ecco arriva il pezzo forte, con lo strumento che letteralmente fa suonare l'aria: il rombo (in inglese bullroarer, “muggito del toro”). Il rombo è una tavoletta di legno legata a una corda, e viene fatta ruotare in aria: genera un grave ronzio, e a quanto pare è uno degli strumenti rituali più antichi. Il primo ritrovamento è del 17.000 a.C, e il suono viene definito “archetipico” dal Centro del Suono (https://www.soundcenter.it/centrodelsuono.htm). Con questa portata di significati, il rombo apre le danze in “Lost Angels”, brano di 19 minuti che presto si trasforma in un loop di respiri e voci umane, e degli altri strumenti a fiato. Il fondo armonico si muove da un accordo minore a uno diminuito, con variazioni minimali, restituendoci un clima inquietante (e affascinante).

Ancora atmosfere dark, stavolta create con la fisarmonica (anch'essa è strumento ad aria), arrivano in “Une pluie vague après la nuit”. Lo strumento a mantice esegue ancora accordi diminuiti, mentre un fiato improvvisa una melodia, restando nello stesso mood. E infine “Les Petit Canards” è un ultimo trip, fatto di canti di canarini, frammenti di voce compressa e distorta, e un beat elettronico pulsante ed avvolgente.

Dagli strumenti etnici ai versi dei canarini, la musica è (letteralmente) nell'aria, e questo trio francese ce ne dà prova con notevole fantasia! (Gilberto Ongaro)