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ANDREA RUGGERI  "Mustras"
   (2024 )

Secondo lavoro ispirato a “Le città invisibili” di Italo Calvino”, “Mustras” è la nuova uscita discografica del compositore e batterista Andrea Ruggeri, uscita per Da Vinci Jazz. Come nel precedente, ci ritroviamo in atmosfere dilatate, garantite dal fluire lento dei bpm, a volte del tutto assenti. Ma rispetto al corposo ensemble di “Musiche invisibili”, qui l'organico è un quartetto: Andrea Ruggeri alla batteria, Elsa Martin alla voce, Simone Soro al violino ed Elia Casu alla chitarra elettrica ed acustica. Tutti e quattro usano anche oggettistica ed elettronica.

“Early refrain” apre il disco con un ingannevole sentore post rock, tra arpeggi morbidi di chitarra e le note lunghe della voce di Martin. Segue una breve ricostruzione ambientale, tra passi nel bosco e versi di tortore. Questi due brani fungono da introduzione, poi si entra nel vivo con i brani che portano i nomi delle città immaginate da Calvino. “Cloe” sfiora la musica atonale, a voler seguire la melodia obliqua del violino, mentre la chitarra suona in palm muting pulito.

Le parole cantate da Elsa Martin sono difficili da afferrare, se non si presta un'attenzione estrema, poiché sono così tanto dilatate, che si percepiscono solo sillabe. Spesso allunga e marca le esse, le erre, o fa degli staccati sulle “ò”. La batteria spesso non compare in funzione ritmica, come in “Isidora”: i colpi scandiscono una situazione più teatrale che inquadrata in una griglia di tempo. “Leonia”, la città calviniana nota per le sue montagne di spazzatura, suona come un brano al rallentatore. Molto spazio si dà all'improvvisazione vocale.

La voce continua a orgasmare in “Ersilia”, mentre il violino intona una melodia sinistra. Nella seconda metà della traccia la musica si struttura, grazie alla batteria che parte in maniera riconoscibile, e l'assolo di violino si stende su arpeggi di chitarra comprensibili. Per “Ottavia” ci concedono addirittura un tempo in 6/8 perfettamente distinguibile, come le parole che riesco a riportare: “Trama di tele segrete alla velocità della luce. Ordito di seta in volo, slancio di aracnico ingegno. Testimonianza di eternità”. La chitarra esegue una sequenza di accordi priva di un centro tonale, e in coda ci si abbandona all'elettronica.

Ritorna “Maurilia”, brano del disco precedente, come “Maurilia Reloaded”, nella versione del quartetto. La voce così spicca ancora più fortemente, catturando l'attenzione. “Irene” scalda la situazione, risultando più drammatica nelle sue soluzioni formali. “Argia” è una graduale caduta. Inizia con accordi dolci e accoglienti, riconoscibili, e pian piano la musica si complica sempre di più, diventa sempre più storta e ostile. Una spiegazione può arrivare dalla descrizione della città di Argia. Lì al posto dell'aria c'è la terra. I cittadini cercano di camminare ma sono interrati, quindi dopo un po' si arrendono e stanno fermi. Si vive fermi nella terra, cercando di ingannare la morte. E così la musica si dimena, sempre più agitata, complice la batteria e le improvvisazioni del violino sempre più rapide. Inutile dire che la voce in tutto questo inizia ad emettere deliri sonori, fino all'acuto finale.

L'album torna alla consueta delicatezza con “Anastasia”, che chiude l'album. Ancora una volta gli arpeggi di chitarra sono il tappeto che caratterizza tutto il brano, che a metà pare voglia essere disturbato dai rumori elettronici che preludono a un'esplosione, che invece non avviene, e si continua a stare così, nella tranquillità apparente. Anastasia è la città che ti fa venire dei desideri e poi te li soffoca. Ti convince a lavorare fino a spezzarti la schiena, per avvicinarti a quel desiderio che mai si realizza, e fa così con tutti i cittadini. Forse, direi, è la città che più si avvicina a quelle reali!

Le città invisibili sono comunque il pretesto per dare forma a un jazz espresso sottovoce e che, come suggerisce il titolo “Mustras”, che evoca l'artigianato tessile sardo, decora finemente un pensiero. (Gilberto Ongaro)