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CEMENTO ATLANTICO  "Dromomania"
   (2024 )

Chi come me ama esplorare le differenze etniche e culturali per valorizzarle, unendole in una cornice che ci ricorda di essere un'unica umanità, non può che gioire della seconda uscita del progetto del producer e dj Alessandro ToffoloMusik Zoffoli.

Aveva suscitato entusiasmo l'esordio del 2021, “Rotte interrotte”, uscito durante il maledetto lockdown, che tra gli altri danni, aveva anche reso le recensioni tutte uguali, in quel periodo. Rileggendole: che noia assurda! “Vi manca viaggiare?”. “Sperando di poterlo ascoltare dal vivo, quando sarà possibile”. “Ora siamo tutti isolati e quindi riflettiamo tanto”. Mamma mia, il tono era sempre quello!

Nel caso di Cemento Atlantico però, la cosa era significativa, perché il suo disco d'esordio faceva ascoltare suoni provenienti da Marocco, Bulgaria, Vietnam, Cambogia... questo esacerbava la sensazione di gabbia, permettendoci però di sognare di rivedere il mondo in libertà. Ora sono passati tre anni, il peggio della pandemia sembra essere alle spalle, quindi finalmente Cemento Atlantico può riprendere le sue esplorazioni, dando sfogo alla sua “Dromomania”, desiderio patologico di viaggiare, e così chiama il nuovo album, uscito per Bronson Produzioni.

Però Zoffoli dichiara che qualcosa è cambiato. Dice che dalla pandemia ne siamo usciti peggiori, e l'ha visto un po' ovunque. Ci siamo tutti rinchiusi mentalmente, ognuno nelle proprie credenze, nei propri confini. Così, dice che c'è meno sentimento “chill”, e il sound si è fatto più cupo. Sarà. Lo faccio partire, e il viaggio inizia in Thailandia, con “Garawek Khaos”. Fin qui, in realtà, il mood da viaggiatore lo sento intatto, e non c'è nulla di male, anzi. Ma il brano è ispirato al colpo di stato che ci fu in Thailandia nel 1932, che mise fine alla monarchia assoluta, instaurando una monarchia costituzionale. Il videoclip del brano lo spiega in un bloc notes. La musica parte come sempre da field recordings registrati “sul campo”, per poi crearci loop e beat.

Dalla Thailandia ci si sposta in India con “Kashi Fire”. Kashi è l'altro nome di Varanasi. È curioso che nei vari video dei brani, Cemento Atlantico scriva le coordinate di latitudine e longitudine dei luoghi. Ad esempio, qui siamo tra 25° 18' 39,1” N 83° 00' 50,71” E e – 25° 18' 25,73” N – 83° 00' 38,29” E. Il fascino per i punti cardinali è cifra stilistica del progetto, trasmette la fernweh dell'artista (cioè la nostalgia della lontananza, che è il contrario della nostalgia di casa).

“El que puede hablar” ci dirotta in Messico, nella cultura azteca, e la drum'n'bass forse fa intuire cosa intende Cemento Atlantico con “cupo”. Le linee dei bassi da qui a fine album sono particolarmente marcate. La ritmica è al centro delle composizioni, ottime per una notte di nightclubbing. In questo caso, una voce femminile recita una poesia in lingua Nahuatl, registrata durante El Dia De Los Muertos, al cimitero di Oaxaca. Con “The land of lions” si torna in Bulgaria, con frammenti di cori registrati in una chiesa russa ortodossa e un violino bulgaro, il gadulka.

Ci spostiamo poi in Nicaragua con “Danza negra”, carica di bassi minacciosi e una macabra marimba. E l'Italia? Compare anche lei, in gemellaggio con la Colombia, tramite “Via Pablo Neruda”. Un organetto dà suggestioni folk nostrane, mentre una voce recita una poesia di Neruda in spagnolo, e poi la ripete tradotta in dialetto romagnolo: “Los Carniceros” diventa così “Gli sparvieri”.

Con “Tablao” facciamo tappa in Andalusia, dai gitani e dalle loro chitarre flamenche, sempre caricate dall'elettronica (si balla moltissimo in questo disco; il ballo ha anche funzione narrativa e simbolica, come si vede nel video di “El que puede hablar”). Anche qui c'è la passione per unire in una traccia suoni lontani: le chitarre provengono da Siviglia, i passi e le nacchere da Granada. Il viaggio si conclude in Panama con “Arranque de Bocas”. Zoffoli fa incontrare la musica di una banda con le voci di un autobus, scelta azzeccata come finale.

El pueblo viaggia verso il suo destino, ma saremo in grado di invertire l'attuale rotta internazionale, fatta di paure, guerre, genocidi e gogne social? Nel dubbio, come direbbe Dargen D'Amico, si balla. Bentornato, Cemento Atlantico! (Gilberto Ongaro)