recensioni dischi
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THE POLICE  "Synchronicity (super deluxe edition 6 cd)"
   (2024 )

Al netto del diverso peso storico sull'asse del tempo, se i Pink Floyd (mannaggia a loro) si fossero dati una pausa di comune accordo, dato lo strapotere del leader e del suo ego, avrebbero fatto la fine dei Police? Purtroppo non è così e ora ne dobbiamo patire i patetici e del tutto pletorici strascichi senili senza alcun vero piacere d'ascolto, compreso l'ahimè già osannato da più parti quinto album di Gilmour, autentica grattatura del fondo di barile.

Tutto ciò viene in mente, col senno di poi di cui peraltro son piene le fosse, ascoltando il demo di "O my god" contenuto nell'imperdibile (per i fan ma auspichiamo non solo per loro) cofanetto multiplo dedicato all'ultima somma opera del trio, "Synchronicity", capolavoro che mi ascolto da anni nel bel formato Sacd ossia con segnale in DSD, cogliendone ogni volta inedite sfumature (ascoltare per credere il suono del deserto in un brano come "Tea in the sahara").

Dio, che razza di demo. Viene già da immaginare il clima di un disco solista di Sting per come è arrangiato. Una session parallela al già sublime originale. Il disco all'inizio uscì, ben mi ricordo, trainato dal successo della hit con video in bianco e nero "Every breake you take", giusto agli albori del cd e del digitale, e fu per il nuovo supporto un veicolo e un banco di prova, per come fu registrato all'epoca.

Il disco uscì in un anno in cui appunto comparvero lavori all'epoca scontati e normali e facili e oggi considerati, con il senno di poi, a loro modo monumentali e punti di chiave e svolta come ''The Final cut'' dei Floyd (che è senza ombra di dubbio solo il primo passo solista di Waters) e ''Let's dance'' di Bowie.

"Synchronicity" uscì peraltro all'apice di una carriera non bruciata ma costruita in un lustro o poco più di grandi successi e dischi in studio però altalenanti, che solo a distanza hanno saputo reggere dopo ripetuti e meditati ascolti, come l'eccellente (a suo modo) "Ghost in the machine". "Synchronicity" è però, a conti fatti, l'unico che si ascolta con gioia e coinvolgimento dall'inizio alla fine e godimento ininterrotto dal 1983 fino a oggi, pur con l'introduzione massiccia di sintetizzatori e tastiere in una band la cui ossatura originaria era basso chitarre e drum.

E pensare che è appunto l'ultimo, il final cut del gruppo, cui una fortunata congiunzione astrale (e forse la voglia di non disperdere un patrimonio più che invidiabile) ha fatto aggiungere i live postumi degli anni Duemila. Se lo ricordino gli schiavi dell'autotune e del protool cosa vuol dire suonare, solo in tre, e con quella voce, che nemmeno le esilaranti prese per i fondelli di Crozza sul birignano itangliano del signor Sumner hanno saputo minare, casomai esaltandola.

Questo cofanetto ci regala, oltre a una pioggia di alternate mix e demo, anche un profluvio di live d'epoca, a corroborare se ce ne fosse bisogno la muscolatura già mitica di una band inimitabile per quello che ha significato e significa tuttora come modello purtroppo inarrivabile. Un disco che ha oltre 40 anni (e non li sente affatto!). Per la cronaca il cofanetto contiene 6CD con 55 brani inediti, nuove note di copertina, interviste, memorabilia e fotografie mai viste prima. Un monumento a un monumento, inclassificabile perché fuori scala e di diritto appartenente allo scaffale dell'Olimpo insieme, tanto per dire, al recente cofanetto su "Hot rats" di Zappa e ai cofanetti in Sacd dei Genesis (questi ultimi privi peraltro di qualsiasi frammento di retrobottega). (Lorenzo Morandotti)