ANALOGIC "Eva"
(2024 )
Fortunatamente, in quest’epoca complicata ed artefatta, persiste uno zoccolo duro di artisti che abbracciano la filosofia del creare ancora in modalità artigianale riluttando, a tutto tondo, l’uso del digitale divenuto ormai simbolo della spersonalizzazione dell’umanità, soprattutto se usato in maniera scriteriata.
Quindi, ben vengano gruppi come i lombardi Analogic, i quali inneggiano all’espressione ancora profonda, verace, imprescindibilmente introspettiva e, grazie a questo istinto di conservazione, danno alle stampe il primo, interessantissimo album “Eva” per la Luminol Records.
Attivi da un annetto ma già con lodevoli idee dirette a creare prodotti veri, autentici, esulanti da tattiche strategiche di mercato, ecco che i 10 brani dell’opera prima assumono un sapore speciale ed intenso, formulati in un cocktail stilistico assolutamente variegato ed incatalogabile, un melting-pot tra prog, rock, indie, elettronica ed alt-pop.
Il fluido e grintoso narrato di “Generazioni” apre il trattato dell’album, che si placa presto con l’innesto acustico di “Ave natura” trainandoci all’interno di ponderazioni vellutate, mentre con “Mystic Orphic Music” gli Analogic cominciano a sciorinare segmenti d’estro disarmanti, spaziando tra stranezze ritmiche e assoli di malinconica guitar.
Dopo aver rimodellato con duttilità ideativa la nota “Luglio, agosto, settembre nero” degli Area, arriva “Milano Magnetica”: una dedica acoustic-rock in agrodolce (“…bellezza decadente…”) per il capoluogo meneghino, ma il grande inno alla vita (che vige sottotraccia in tutto il full-lenght) affiora prepotente nella pura e dolente “Ode nichilista”.
Invece, con vibranti arpeggi Genesisiani, gli Analogic dischiudono l’ostrica di “Masturbati”, facendo riluccicare il brano come una preziosa perlina. Il bizzarro funk-pop di “I am an Intellectual” è la sorpresa in inglese che ci riserva la band, in un aere, dopotutto, dilettevole e scanzonata. La pacata ed efficace “Mirage” funge da preludio al conclusivo atto cosmico “Infdefinita”, come dispersi in sensazioni etereee per un amore vago ed impalpabile: grande mood!
Insomma, “Eva” non è solo un formulario di invettiva sociale e nostalgie esistenziali ma, soprattutto, un fremente anelito per il ritorno ad una vita che ha smarrito i connotati della schietta umanità. Sta solo a noi impegnarci per re-innestare un urgente cambio di rotta, prima che la scelleratezza digitale prenda il definitivo sopravvento distruttivo. Analogic(o) è meglio… (Max Casali)