JOHN QUALCOSA "Cani come figli"
(2024 )
“Siamo la coppia più bella del mondo”, cantavano Adriano Celentano e Claudia Mori nel 1967. Dal 1997 i Jalisse portano avanti un esempio di coppia musicale felice. Nell'estate del 2024, la celebrazione delle coppie serie viene rinnovata da Annalisa e Tananai con “Storie brevi”. Ogni tanto, per motivi diversi, qualcuno vuole cantare singole canzoni sulle cose che funzionano, tra tante storie di tradimenti, lacrime, violenza e addii. Ma non avevo ancora ascoltato un intero album con questo spirito.
Non ho capito se qui si tratti di una coppia vera o solo artistica (come Annalisa e Tananai), ma poco ci importa. “Cani come figli” è un album del duo John Qualcosa, che comunica l'idea di due viaggiatori sereni, e affascinati da ciò che incontrano, vagabondando tra Spagna e Francia. E un po' come accade con Manu Chao, gli strumenti acustici incontrano una leggera elettronica (mai preponderante), per farci ascoltare canzoni d'autore dal sapore folk e “world”, in questo caso tra virgolette, perché si tratta del world un po' turistico. Anche nei testi si nominano spesso le città visitate, da Valencia allo skit ambientale “Lisboa”, o le spiagge della Francia in “Fiori del male”. Discorso a parte per il brano “Bicchieri bassi”, che ospita i Corimè, gruppo esperto della world music, che mescola le percussioni al beat. Altro ospite nel disco è Carmelo Pipitone.
La titletrack dichiara il mood dell'album. Si sente che la cantante, AmbraMarie, lavora a Radio Freccia. In tale emittente, gli speaker hanno l'abitudine di richiamare esplicitamente i simboli della controcultura, un po' come una ricerca (quasi spasmodica) di ribadire una certa identità. In “Cani come figli” AmbraMarie canta: “Portami con te sul tuo furgone della Volkswagen”, vettura simbolo degli hippie. L'altro polo del duo è il polistrumentista Raffaele D'Abrusco, che riempie le canzoni con tanti strumenti e quindi suoni diversi, garantendo ricchezza timbrica al lavoro.
“La solitude” è parzialmente cantata in francese, e “Cesare” spegne momentaneamente l'entusiasmo generale dell'LP, per esprimersi con più intimità ma sempre con franchezza: “Divertiti e sbronzati più forte della musica (…) dimostra quanto puoi ballare male, e si vergogneranno tutti tranne noi (…) Sai, dicono che è tutto illogico, persino io e te che siamo quasi perfetti. E fidati di me, e diamo fuoco a questo posto, a questa festa di merda”.
“Venere senza colori” è la canzone che apre l'album, l'ho tenuta qui, quasi alla fine, perché sembra una canzone – preparativo, come per il momento di fare le valigie, prima di tutte le altre canzoni – cartolina. E che cosa ci mettiamo in valigia? “Indosserai le tue paure nell'armadio, sicura che saranno ancora fuori moda”. Mentre l'album termina con un valzer dedicato ad uno dei cani, “Oliva”: “Amo svegliarmi con te che non sei mai di pessimo umore, io che la mattina voglio vomitare (…) tutti gli odori della città insieme al tuo diventiamo noi”.
Diventiamo le città che visitiamo. O meglio, ogni tappa ci lascia qualcosa. I John Qualcosa ci ricordano la bellezza di viaggiare, e chissà quanti potranno farlo ora, che le statistiche parlano di calo del turismo. Con “Cani come figli” si può almeno viaggiare con l'immaginazione, tra falò, treni persi, tende e forse il buon vecchio autostop. (Gilberto Ongaro)