recensioni dischi
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DANILO CUBUZIO  "Another opportunity"
   (2024 )

In inglese una parola che designa questo genere di cose potrebbe essere serendipity: secondo la classica definizione di Horace Walpole, l'occasione di fare scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa - di solito bella e piacevole - non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra.

Il dono dell'interplay, il piacere palpabile e istintivamente percepibile di fare buona musica che attrae, coinvolge, non annoia ma al contrario arricchisce ed è una buona compagnia cui puoi sempre tornare con la consapevolezza che ti sarà fedele e amica, è frutto però non del caso ma di un dono che potremmo sbrigativamente chiamare amore. Rotondo e completo, non semplice infatuazione.

Questa a me pare, dopo ripetuti e meditati ascolti, la situazione di Danilo Cubuzio, bravo pianista che, però, ha una storia abbastanza particolare che va precisata per dover di cronaca. Solo in età adulta si è infatti dedicato allo strumento, spinto dall’amore per il grande trombettista e compositore Kenny Wheeler, con il cui mondo sonoro c'è ovviamente più di un filo rosso di collegamento, come ogni buon prodotto che abbia padri nobili e non si vergogni di dichiararli o peggio li nasconda o li voglia parodiare.

Con Giuseppe A. Russo (guitar), Alberto Paggin (double bass), Benedetto Frizziero (drums) e Alberto Vianello (tenor sax), eccellente virtuoso come ospite, Danilo dà vita a questo lavoro di quartetto abilmente equilibrato, registrato in oltre un anno a Bassano del Grappa e mixato a inizio 2024. Terra schietta come la bevanda di cui porta il nome.

Il pianista bolognese ha solidi studi di formazione, si è perfezionato al conservatorio di Rovigo ed è ora alla sua prima prova da leader, prova matura e convincente, mai banale e stereotipata, capace come è di creare mondi mentali e affreschi sonori che hanno l'accoglienza di un hammam o di un'oasi in pieno deserto ma spaziano anche altrove, verso ulteriori orizzonti di sincretismi e sinestesie che fanno la gioia del jazzista consumato e colto come l'estasi del neofita sprovveduto che solo ora si affaccia a un mondo di inesauribili variazioni e sottogeneri.

Un jazz d'autore senza tempo e sempre per questo motivo attuale e che tale sarà anche tra dieci o venti anni, che al palato risulta ben rodato e amalgamato, senza guizzi pindarici o fughe in avanti di particolare elevazione, con un tessuto del genere non ce ne sarebbe bisogno, come mettere gli stivali in pieno agosto o le espadrillas a Natale. Qui siamo nell'orizzonte piuttosto dell'eleganza curata ma non ostentata, della grazia sorgiva e generativa, della misura, del dialogo fattivo e costante tra solisti che sanno di lavorare a un percorso comune, a una nuova opportunità sonora che prima non c'era e a cui si è voluto dare un soffio di vita con abile artigianalità sartoriale.

Per fortuna in Italia ci sono ancora musicisti così, capaci di reagire alle secche della pandemia e alla povertà del contesto culturale nazionale e alle difficoltà oggettive di chi suona non solo per diletto, e a tirare fuori l'orgoglio e l'identità di una appartenenza. Voto 8, e naturalmente al bando impianti scadenti per ascoltarlo e un plauso se li godrete dal vivo. (Lorenzo Morandotti)