SINISTRI CORTI "Il trono della plebe"
(2024 )
Goliardia e critica sociale si fondono insieme, nella proposta dei Sinistri Corti. Il loro nuovo album autoprodotto, “Il trono della plebe”, già dal titolo e dalla copertina, ci dà la cifra delle loro intenzioni. La prima canzone, “Tempi stronzi”, in poche parole sintetizza l'attualità: “Tempi stronzi, all'alba del ventennio (…) morte a chi non è dei nostri!”, evocando un ventennio passato che (speriamo duri meno stavolta) si sta ripresentando in tutta la sua violenza. Almeno in Italia. La Francia sembra aver detto no, alla deriva del terrore.
Comunque, il punk della band accompagna “610”, che ricorda senza mezzi termini la condizione sottoproletaria: “Sei solo un numero, utile non indispensabile, con un palo in culo, per farti marciare a comando. Nome cognome numero di matricola: sei uno zero!”. Leggo poi un'altra canzone dal titolo numerico, “2020”, anno pericoloso di cui parlare, perché si rischia di venire fraintesi e gettati in facili etichettature no-qualcosa, per non ragionare sulle cose assurde successe.
Avvio la canzone, e mi accorgo che non c'è pericolo, lo sguardo è ampio e profondo: “Hai mai avuto l'impressione di odiare le persone? Non capire che succede, o di vedere cose strane. Un cavallo verde, una scimmia tutta blu (…) Figure ecclesiastiche che fanno pugilato. In America il nemico ha bombardato, un altro missile ha sganciato. Mascherina d'ordinanza [eccoci, speriamo bene, nda], manteniamo la distanza, COVID-19 avanza, sta arrivando l'ambulanza”. Fiùùùù.
Ricordo bene che il genio della sintesi, Vasco Rossi, cambiando una sola parola, aveva rivelato il senso di un'espressione propagandata dai media: “Distanziamento sociale”. Il Blasco disse qualcosa come: “Va bè, ma ci vuole un distanziamento fisico, non sociale, cioè capito...”. Se c'era bisogno di un effettivo distanziamento fisico, quei famigerati due metri di distanza, perché chiamarlo “sociale”? Sembrava proprio che si volesse incitare all'isolamento anche mentale, a restare a casa a lavorare in smartworking e fare acquisti online, e che rimanesse un'abitudine anche a pandemia finita. Ecco i miei due cent no-qualcosa (per la cronaca, mi sono vaccinato 5 volte e l'avrei fatto comunque di mia volontà; quindi, non mi rompete!).
Ecco, l'effetto dei Sinistri Corti è questo, ti costringono a pensare anche se non vuoi. Altro che demenziali! Ma andiamo avanti. “Fake news” elenca tante bufale del web, mentre la palindroma “Ai lati d'Italia” urla un po' l'Inno nazionale modificato, (“L'Italia maldestra”), e spara un po' di populismo rosso (non è il massimo, ma di questi tempi nerissimi, va bene): “Tutti a destra, tutti a sinistra, chi si lamenta è un comunista!”. Immancabile poi la canzone d'ordinanza contro la polizia, chiamata programmaticamente “Sbirro”: “Agente sono innocente, giuro, non ho fatto niente!”. Siccome sono nella posizione del “giornalista” (in realtà sono un operaio che scrive online spacciandosi musicologo, questo sono), mi verrebbe da fare il Montanelli bastian contrario, il Faletti che dice “Minchia signor tenente”, o il Pasolini che si schiera coi poliziotti in quanto operai anche loro, e non so perché. Probabilmente, è l'effetto “antagonista” che i Sinistri Corti generano.
O perché davvero non siamo più abituati ad alzare la voce, va bene tutto, siamo anestetizzati. Ho scritto tutte queste minchiate pseudointellettuali, solo per introdurre “Anestesia”, il mio pezzo preferito dell'album! Poi la demenzialità si fa davvero sentire, con “Piccione”, canzone poetica su un uccello che caga sul passante, e l'album finisce celebrando sarcasticamente l'ignoranza, nel brano “Ignordanza”: “Brucia l'Amazzonia ma che cazzo ce ne importa, che finché è piena la pancia niente ha veramente importanza!”.
Beh, che aggiungere? Sto scrivendo dopo che ho timbrato il cartellino, sono un numero anch'io, e se non vogliamo che la rabbia delle masse sia trainata da chi semina razzismo, è necessario mettere a fuoco chi è il vero nemico... se nemico è, o solo “avversario” (scusate Sinistri Corti, mi sa che morirò democristiano!). (Gilberto Ongaro)