recensioni dischi
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PENSIERO NOMADE  "Ultime foglie"
   (2024 )

Ancora una volta il Mediterraneo è fonte d'ispirazione per i musicisti. Crocevia di cultura latina e araba, dalle sue latitudini e longitudini arrivano gli strumenti e i suoni di “Ultime foglie”, ottavo album di Pensiero Nomade, uscito per Filibusta Records.

La mente è Salvo Lazzara, produttore artistico e tecnico del suono, che suona gli strumenti a corda: basso, chitarra elettrica, touch guitar, e soprattutto un particolare strumento, l'HarpOud, che è una chitarra a 19 corde fretless, che si chiama così perché suona un po' come un'arpa, e un po' come un oud, caratteristica chitarra araba. Accanto a Lazzara, che realizza anche i soundscapes, troviamo Davide Guidoni alla batteria e alle (tante) percussioni, Giorgio Finetti al violino, e Edmondo Romano ai tanti fiati: flauto basso, duduk, fluier, chameleau, clarinetto e low whistle.

Quattro persone ma tanti strumenti, per tanti suoni, per realizzare un panorama sonoro fortemente coeso, nonostante la sua varietà timbrica. Ci sono sempre quei soundscapes che c'erano prima, e un'attenzione particolare al ritmo: anche per gli strumenti melodici, Lazzara ha riservato formule tematiche dallo spiccato senso ritmico.

Il risultato è qualcosa di tribale, quasi rituale. Per fare un esempio chiaro, in “Fiori al tramonto”, la ritmica del violino sembra rimbalzare gommosa, e poi si applica un tipico trucco da ipnosi: la melodia è più lunga della durata della battuta, così ogni volta che si chiude "sfora", e i suoi battiti si trovano sempre in punti diversi di battuta in battuta. Così ti incanti, nel seguirla, e il brano assume struttura circolare.

Tra le percussioni, più volte torna un tamburello, che assieme a violino e flauto, ottiene una sensazione di chillout, di perdersi rilassandosi, nei suoni del mondo. Così vuole essere, questo lavoro world, termine che forse vive le sue ultime foglie (o resuscita?), ricordando quelle atmosfere vellutate di David Sylvian e quelle suggestioni crepuscolari, come nei suoni di “Resta quella luce”, che tanto aiutano a immaginare un mondo unito, che oggi sempre più sembra voglia disunirsi. (Gilberto Ongaro)