HOUSE OF GOLD "Triple music"
(2024 )
Il compositore e batterista italoamericano Isaiah Ceccarelli scrive la musica di “Triple music”, album di debutto della formazione canadese chiamata House Of Gold, uscito per Sofa Records. È un disco di nove brani dilatati e onirici, dove l'atmosfera generale è definita dai sintetizzatori, che sono in quattro a suonare: lo stesso Ceccarelli, Eugénie Jobin, Frédérique Roy e Kathelyn Clark; quest'ultima suona anche l'organetto, altro strumento ricorrente, assieme al pianoforte.
E tutte cantano, con la stessa intenzione sussurrata. Voci con molta aria, che spesso fanno polifonie ricercate. La batteria di Ceccarelli è presente ma sembra voler dare un commento sommesso. Solo in pochi momenti si avvia a tempi normali, come nella coda di “Phenomena” o in “Terre noire”. Per il resto, le sue rullate sui tom, i colpi sulle percussioni, contribuiscono a rendere il clima ancora più metafisico.
“Etain” e “Terre noire” sono cantate in francese, mentre il resto è in inglese. I testi a volte sono di difficile comprensione, non perché si usino parole ricercate, ma perché le note prolungate allungano le pronunce. La band di Montreal realizza un ambiente statico e immersivo, che a volte ricorda le bianche lande dei Sigur Rós, però in certi momenti i suoni si fanno sinistri, complici le dissonanze o l'acidità del suono di basso sintetico in “Terre noire”.
Isaiah non canta se non fino al brano 8, “The unattainable world”, tra “melograni” e “personali disastri” (tradotto letteralmente). In questo brano compaiono anche delle note di chitarra elettrica, e nei credits leggo che c'è anche il violino dell'italiano Guido Del Fabbro. Al primo ascolto non l'ho trovato, ma forse è modificato, quel bel suono “fischiato” che si sente da metà brano in poi. Insomma, non aspettatevi suoni prevedibili!
La Casa dell'Oro ci porta in un mondo altro, più tranquillo della realtà quotidiana. Oltre alla funzione contemplativa, “Triple music” è interessante anche dal punto di vista musicale, per l'uso poco convenzionale della batteria, e la scrittura dei cori, che sembrano sempre distaccati dal resto dei suoni synth, come se seguissero un ritmo a sé. (Gilberto Ongaro)