recensioni dischi
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ROTTEM GEFFEN  "The night is the night"
   (2024 )

Al secolo Nelly Klayman-Cohen, Rotem Geffem è una poliedrica artista svedese – cantante, pianista e compositrice - che naviga con scioltezza nel mare magnum della musica contemporanea.

In un registro vocale morbido ma sofferente, peculiare crooning intenso e dolente, attoriale a tratti, propone otto episodi intimi e tristi, costruiti attorno ad atmosfere diafane e rarefatte, da cui irradia una dimessa aura afflitta. A definire il perimetro di “The Night is the Night”, nuovo lavoro su etichetta Thanatosis a tre anni dal debutto di “You Guard the Key”, è proprio una densa melanconia, stesa come un sudario su brani in apparenza carezzevoli, eppure impregnati di una sottile tensione che si agita sottotraccia.

Realizzato con la collaborazione di un nutrito ensemble di musicisti e con il determinante apporto di Alex Zethson e Anton Toorel in fase di produzione, largamente affidato a pianoforte ed archi, impreziosito da citazioni e rimandi all’opera di Paul Celan, Else Lasker-Schüler e Clarice Lispector, l’album associa a toccanti arie in minore – essenziali, raccolte - testi intrisi di una poesia mesta e rassegnata; in un clima che evoca atmosfere decadenti di matrice mitteleuropea come il teatro di Kurt Weill, Nelly inscena una pièce avvolgente e straniante, imperniata sulla personale declinazione di suggestioni neoclassiche sui generis.

Assente la ritmica, la struttura dei brani rimane aperta, fluida e fluente, un quadro arricchito da immagini vivide e da un sentimentalismo tout court che scivola via lieve sulle ali di melodie minimaliste e lineari (il lied per piano di “I’m Allowed to Love you”); arie retrò screziate dagli intarsi rumoristici del violino (“River”, recitativo su disturbi di fondo), echi della Emilie Zoé più eterea o della Liz Green degli esordi (“I always know”), inattese variazioni linguistiche che accrescono la musicalità dell’insieme (“Tachzeri Elay” in ebraico, “Ich vermisse dich” in tedesco, “The Night is the Night” divisa tra inglese e tedesco) definiscono un songwriting non convenzionale, quasi una bizzarra crasi tra il lirismo allusivo di Emily Dickinson ed il singolare cantautorato d’avanguardia di Joanna Newsom, arte varia e stratificata sublimata nelle due lunghe tracce di chiusura.

Gli otto minuti di “I Beg” e i nove e mezzo di “Hide”, con gli archi a ricamare tessiture struggenti, sono un saggio di pura beatitudine, suggello ad un’opera estremamente complessa, sfaccettata e variegata, poggiata su base colta ed elitaria, chiave di lettura di un disco elegante e trasognato che pesca a piene mani da un milieu culturale vasto e consolidato. (Manuel Maverna)