KEE AVIL "Spine"
(2024 )
Dopo il grande successo del debutto con “Crease” di due anni fa, torna Kee Avil con “Spine”, sempre uscito per la Constellation Records. I comunicati stampa parlano di post-punk, folk, elettronica e avant-pop, ma in questo caso le etichette di genere aiutano poco alla comprensione, anzi, rischiano di generare aspettative stereotipate. Meglio descrivere direttamente gli elementi sonori che troviamo.
Intanto, la struttura. Queste canzoni sono destrutturate, o meglio, se ci sono ripetizioni, non sono immediatamente afferrabili come strofe e ritornelli. Sono canzoni sbriciolate, spezzettate, si ascoltano gli eventi uno alla volta, sono una successione di situazioni. I suoni sono pochi e invocano una dimensione intima e introspettiva.
La chitarra elettrica è utilizzata in maniera sperimentale, l'elettronica non crea beat fortemente ritmici, ma al contrario, delle sinistre tessiture di rumori e silenzi, che ci fanno percepire di essere immersi nel disordine (ma non nel caos: non ci sono esplosioni, né muri di baccano). E soprattutto, la voce. La voce di Kee Avil canta sussurrando, ansimando, più volte sdoppiata. Tutti gli elementi concorrono a realizzare una dimensione perturbante. Non ci sono dei crescendo che portino ad apici o a momenti shock, ma una continua e trascinata inquietudine, un Overlook Hotel musicale dove si vaga in stanze semibuie, e si perde l'orientamento.
Un brano come “Showed you” sintetizza bene il clima generale dell'album. L'introspezione fa emergere lati sconosciuti di sé, e chi non ha mai provato ad esplorarsi, potrebbe respingere i risultati di questo scrutamento. Eppure i mostri sono in noi, parte di noi, e invece di esserne spaventati, possiamo incontrarli e berci il tè, prenderci confidenza. Allora, “Spine” diventa un'esperienza intrigante, in cui Kee Avil dà forma ai propri fantasmi, mentre dalla traccia “Under” ci canta: “Please help me, find a way, please help me...”. (Gilberto Ongaro)