recensioni dischi
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MARK KNOPFLER  "The boy"
   (2024 )

I fan saranno eccitati come quando - avevo, mannaggia, 13 anni - uscirono distanza di sole due settimane "Sono solo canzonette" e "Uffà Uffà" di Edoardo Bennato sconvolgendo, all'epoca, i danarosi sonni beati dei discografici.

Tanta acqua è passata sotto i ponti, i dischi i big se li cantano e se li suonano lo stesso, per fortuna, come in questo caso, per il puro piacere di suonarli e cantarli, oltre che soddisfare il pubblico adorante. Adorante al massimo grado se si è appesa al chiodo la chitarra dei live e si preferisce incidere in studio.

Insomma, Mark non ha proprio spiazzato i fan, questo manipolo (ossia quartetto) di racconti cantati era già stato divulgato per il benemerito "Record store day", ma eccolo ora in digitale a spopolare ancor più, aggiungendosi all'album maestro uscito da pochi mesi, come splendido corollario sornione come la chitarra di Mark e poche altre entità su questo pianeta sanno fare.

Un massaggio benefico per mente e corpo, una cadenza che, ascolto dopo ascolto, non lascia mai indifferenti né tantomeno appagati. La chitarra di Mark è qualcosa che appartiene ai beni dell'umanità culturale, come la pelata di Marlon Brando in ''Apocalypse now'' o lo smoking di James Bond. Questo ''The Boy'' ospita le canzoni ''Mr Solomons Said'', ''The Boy'', ''All Comers'' e ''Bad Day for a Knife Thrower'', nate durante le session di ''One Deep River'', l’album di inediti uscito ad aprile.

«Sono a tema fiere, luna park, boxing booths», vale a dire i ring improvvisati nelle fiere itineranti dove le persone potevano sfidare un pugile e venire pagate se duravano tre round. L’interesse per questi temi nasce dalle letture fatte da Knopfler sull’Inghilterra degli anni ’50 e ’60, «un periodo estremamente interessante in cui è cambiato il tessuto sociale. M’affascina anche per quel che accadeva nel settore dell’intrattenimento», che è poi uno dei temi dell’EP. «C’era in atto un cambiamento radicale nella vita notturna inglese. Dopo la rivoluzione di Castro la malavita che gestiva il gioco d’azzardo all’Avana s’è trasferita prima a Londra e poi s’espansa in tutta l’Inghilterra».

Storie di altri soul places e altre soul stories, storie di redenzione e povertà e libertà, di losers e loners irretiti dai soldi facili della celebrità, tra l'acidità che sale per la troppa birra ingollata e la consapevolezza che il grande fiume sempre mutevole del tempo porterà via ogni cosa e che quindi occorre cantare l'istante, aggrapparsi a quello che siamo e non a ciò che potremmo essere o che altri vorremmo che fossimo.

All'atto del lancio di questo EP, Mark gela perentoriamente i fan, e insieme li consola perché non li lascia orfani o nostalgici dei Dire Straits, anche perché come pochi altri sa dire tanto rimanendo nel solco della tradizione: «Sento di essere più utile alla mia famiglia rimanendo a casa e scrivendo. C’è una cosa che quest’album ha dimostrato e cioè che posso passare più tempo a casa a scrivere e poi andare in studio e fare il disco. Sento che è un modo più produttivo di impiegare il tempo. A causa della pandemia ho finito per scrivere di più, mi sono ritrovato con più canzoni da offrire alla gente». E il pubblico, commosso, non può che inchinarsi alla grande umiltà del genio di Newcastle. (Lorenzo Morandotti)